È scomparso oggi, all’età di 87 anni, il collezionista Carlo Pepi, noto in quanto grande esperto dell’arte di Amedeo Modigliani e per aver smascherato molti falsi Modigliani. La conferma è arrivata nella tarda mattinata di oggi dalla famiglia. La sua passione ha trasformato la sua villa di Crespina, tra le colline oltre Pisa, in una sorta di museo dell’arte italiana dal XIX al XX secolo. Nato a Nuoro nel 1937, si era affermato come massima autorità sul pittore Amedeo Modigliani e come esperto dei Macchiaioli, e ha sostenuto per decenni uno stile di collezionismo fuori dagli schemi istituzionali.
La sua raccolta privata, composta da decine di migliaia di opere—stimata oggi intorno ai ventimila pezzi tra dipinti, disegni, documenti e appunti—si dipana senza catalogo a Crespina. Si tratta di un corpus fittissimo, dove accanto a capolavori di Fattori, Lega, Macchiaioli ed esponenti della seconda avanguardia del Novecento, convivono testimonianze di artisti meno noti che Pepi riteneva meritevoli di salvezza dalla dimenticanza (qui il nostro approfondimento).
Pepi era laureato in economia (di mestiere faceva il commercialista), e malgrado la sua conoscenza dell’arte non ha mai voluto far parte del mondo accademico. Autodidatta, iniziò giovani a investire i propri risparmi nell’acquisto di opere, indebitandosi anche pesantemente, mosso da un scrupolo documentario e puro diletto”, non da interesse economico. Rifiutò persino una laurea honoris causa perché non voleva essere associato ai privilegi titolati dell’ambiente.
Il suo collezionismo fu anche battaglia. Tra gli episodi più noti, nel 1984 fu il primo a sostenere che le celebri “teste” ritrovate nel Fosso Reale di Livorno e improvvisamente attribuite a Modigliani erano falsi, e la sua intuizione venne confermata quando si scoprì che erano state realizzate con un trapano da un gruppo di studenti che volevano prendersi gioco dell’ambiente accademico. Analogamente, nel 2017 sollevò dubbi sull’autenticità di diverse opere di Modigliani esposte al Palazzo Ducale di Genova nel corso di una mostra: dalla sua denuncia è partito un procedimento durante il quale un perito ne accertò la falsità.
Nel 2025 il Comune di Crespina-Lorenzana e la Regione Toscana gli tributarono un omaggio ufficiale: il conferimento del Pegaso alato per la sua dedizione alla cultura. Fu annunciato anche un progetto di fondazione per catalogare e rendere pubblicamente fruibile il suo prezioso patrimonio. La sua casa non è un museo convenzionale, ma una sorta di Wunderkammer: le opere, stipate in ogni stanza, nei cassetti o persino nei bagni, emergono da un caos calcolato, proprio perché Pepi, pur non avendo un registro scritto, ricordava con precisione estrema la posizione di ogni pezzo.
Il collezionista ha sostenuto legami umani forti con gli artisti: acquistò direttamente dai creatori, divenendo amico e sostenitore di tanti, anche quando sul piano critico erano ignorati o marginali. Pepi non amava parlare di valori monetari. Pur conoscendo bene i numeri, evitava i discorsi sul prezzo delle opere, limitandosi a riconoscere in esse un valore culturale e affettivo, talvolta anticipando di molto il recupero critico di interi filoni artistici. Con Carlo Pepi, l’arte italiana perde uno dei suoi grandi protagonisti: lontano dalle accademie, portatore di una cultura intuitiva e documentata, capace di trasformare la propria casa in uno scrigno indisciplinato di arte e memoria. Al centro della sua vita c’era un senso profondo del bello, associato all’idea che contrapporre verità e falsità sia un’urgenza morale di fronte alla mercificazione del patrimonio artistico.
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