Vince Matteo Renzi, perde la cultura


La nostra analisi su cosa potrà esserne della cultura dopo la vittoria di Matteo Renzi alle primarie del PD.

Delle idee che Matteo Renzi, fresco vincitore delle primarie del PD, ha della cultura, abbiamo parlato quest’estate, in un articolo che peraltro stiamo facendo circolare in queste ore sui social network, e che sta ottenendo un grande successo (oggi abbiamo segnato il record storico di accessi al sito). Era un articolo ironico, che si concludeva però con una riflessione amara e con una domanda: ovvero, dato che Matteo Renzi in futuro potrebbe diventare Presidente del Consiglio, se dovremmo iniziare a preoccuparci per le sorti della nostra cultura.

Una prima conferma è arrivata ieri sera con, appunto, la vittoria schiacciante di Matteo Renzi alle primarie, una vittoria che apre molti temi su cui discutere: il fatto che in Italia ormai non esista più una sinistra, il fatto che la retorica giovanilista renziana non ha alcun senso se non è supportata da idee solide (e non da consenso fondato su capacità di “vendersi” a livello mediatico, fattore che più di ogni altro, anzi forse unicamente, ha contribuito alla vittoria di Renzi), il fatto che per l’ennesima volta in Italia dobbiamo assistere all’ascesa di un politico-imbonitore piuttosto che di un politico colto e che dica cose sensate. Ma Finestre sull’Arte è un sito che parla di arte, e spesso sui social ci viene rimproverata la nostra tendenza a divagare sulla politica spicciola, ragion per cui in questo articolo parleremo solo di quello che potrà accadere all’arte con Renzi diventato segretario del PD, e quindi, con ogni probabilità, candidato premier alle prossime elezioni politiche.

La seconda conferma alla domanda che ci siamo posti arriva dalla conferenza stampa che Renzi ha tenuto presso la sede di Roma del Partito Democratico. Renzi ha presentato la sua squadra per la segreteria: un giornalista, notando che Renzi non aveva proposto alcun nome per la cultura, ha subito domandato chi fosse l’incaricato per la cultura. La risposta di Renzi: “Faccio sempre l’esempio di Firenze. La cultura è un tema che tiene, come abbiamo fatto nella mia città, per il primo periodo il segretario come propria delega personale, per dare un segnale di particolare attenzione come sa chi ha seguito la campagna elettorale”. Non ci aspettiamo niente di buono. Nelle ultime ore, sulla nostra pagina Facebook, abbiamo ironizzato sul nuovo ruolo che sarà ricoperto da Renzi, e qualcuno ci ha prontamente scritto dicendo che prima di giudicare bisogna provare.

Sinceramente, non abbiamo bisogno di provare Renzi: abbiamo già avuto modo di testare la sua idea di cultura a Firenze, una delle città più ricche d’arte del mondo intero. Sono due le linee che Renzi ha tenuto per la cultura nei suoi cinque anni di mandato come sindaco di Firenze. La prima: la cultura come cassa di risonanza mediatica. Abbiamo avuto diversi esempi, e li abbiamo citati nel nostro articolo di cui si parlava in apertura ("L’arte secondo Matteo Renzi: le sette “migliori” trovate renziane in cinque anni di mandato"). Progetti irrealizzabili (facciata della Basilica di San Lorenzo), maltrattamento di opere d’arte a fini mediatici (gli affreschi di Giorgio Vasari nel Salone dei Cinquecento), scelta di puntare solo sui grandi nomi della storia dell’arte disinteressandosi di tutto il resto (perché, ovviamente, è il grande nome, come quello di Leonardo o di Michelangelo, quello che attira consenso: provateci voi ad attirare attenzione sulla vostra città parlando di Giorgio Vasari, che i più ricorderanno per il suo onnipresente imperversare sui libri di storia dell’arte fino al Manierismo, pertanto anche se gli buchiamo un paio di affreschi, l’importante è che sotto ci sia Leonardo).

E il disinteresse nei confronti degli artisti (e dei musei) minori è tangibile se pensiamo a tutti quei fatti che, non avendo richiamo mediatico, passano più inosservati: pensiamo al dissesto economico del Maggio Musicale Fiorentino, pensiamo all’abbandono dello storico cinema Gambrinus poi riconvertito, con il plauso del sindaco, in un Hard Rock Cafè (una mossa che ha costituito uno dei principali passi verso la trasformazione del centro storico di Firenze in una sorta di Disneyland per turisti stranieri: provate ad andare in un fine settimana di primavera in centro storico a Firenze e contate i fiorentini che ci trovate), pensiamo al fatto che Renzi non abbia ancora detto una parola a proposito della triste sorte a cui sta andando incontro il Corridoio Vasariano, ovvero, per i non ancora informati, una privatizzazione de facto che porterà non solo ad affidare le visite guidate di una galleria pubblica a una società privata (quando invece nel pubblico già disponiamo di guide validissime e preparate), ma porterà a far aumentare i prezzi della visita in modo esorbitante (34 il prezzo pieno, 25 il ridotto e 16 il gratuito: alla faccia della cultura per tutti, ma anche del buon senso logico visto il “costo” di un biglietto “gratuito”).

Qui qualcuno potrà obiettare dicendo che il Corridoio Vasariano è un museo che dipende direttamente dal Ministero, e non dal Comune di Firenze. Vero: ma per prima cosa si trova pur sempre nella città di cui Matteo Renzi è sindaco, e per seconda cosa Matteo Renzi ha spesso parlato anche di musei dipendenti dal ministero durante il suo mandato. Lo ricordiamo soprattutto per la celeberrima frase: “gli Uffizi sono una macchina da soldi”. E qui ci allacciamo alla seconda idea che Renzi ha della cultura, ovvero quella della cultura al servizio dei soldi e del marketing, idea che è comunque emanazione della prima. Il tutto è riassumibile con una bella vignetta di Staino pubblicata a luglio su l’Unità, con protagonisti Bobo, il barbuto e pingue personaggio delle strisce di Staino, e sua figlia Ilaria. Quest’ultima chiedeva al papà: “Babbo, cos’è un cafone?”, e Bobo rispondeva: “Ti faccio due esempi: Montezemolo che vuole il Ponte Vecchio di Firenze per una festa privata, e Renzi che glielo concede”.

L’idea barbara e antiquata (malgrado l’età anagrafica di Renzi) che la cultura serva per fare soldi, e che a fronte di questo principio sia possibile anche sacrificare la pubblica fruibilità dell’arte a vantaggio di pochi danarosi, è stata più che mai onorata durante gli anni del mandato di Renzi. Ponte Vecchio chiuso per ore al passaggio, perché lì doveva celebrarsi un party riservato a poche decine di ferraristi (e anche sul ritorno economico della manifestazione ci sono forti dubbi). Il museo di Palazzo Vecchio chiuso al pubblico per un’intera giornata, perché la sera era in programma un fashion-show della Ermanno Scervino. Piazza Ognissanti sottratta alla città per trasformarla nella sala da pranzo di un magnate indiano che scelse Firenze per il proprio matrimonio in stile Bollywood. Sono alcuni esempi dell’interesse che Renzi ha mostrato per la cultura negli anni del suo mandato.

Giova ricordare che la cultura non è una meretrice disposta a concedersi al miglior offerente. Ed è per questo che la risposta alla domanda con cui si è aperto questo articolo non può che essere affermativa: sì, siamo fortemente preoccupati. Perché Matteo Renzi non ha mai dato l’impressione di voler davvero rendere i propri servigi alla cultura. Attenzione, parliamo della cultura vera: per la cultura al servizio del marketing, Renzi si è prodigato in più di un’occasione. Noi parliamo della cultura che produce non soldi e non marketing ma consapevolezza, idee, capacità di pensare con la propria testa. Forse Renzi crede che questi ultimi tre esercizi siano controproducenti per il suo consenso?


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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