Nuoro, il legame tra isole e i loro simulacri in una mostra al MAN


Fino al 16 novembre, il MAN di Nuoro ospita una mostra che sonda il legame tra un’isola e i suoi simulacri, con opere che vanno dalla preistoria fino a Gauguin e Miró.

Quale legame profondo unisce un’isola ai suoi simulacri? E come hanno assorbito e interpretato tale legame i maestri del Novecento in viaggio fra Mediterraneo e Mari del Sud? La mostra ISOLE E IDOLI, che inaugura la stagione estiva del Museo MAN di Nuoro, nasce per rispondere a queste domande e per comprendere come il potere simbolico e mitico delle figure arcaiche, custodite entro i confini dell’insularità, si sia rigenerato, a distanza di secoli, nelle forme del moderno.

In bilico fra neolitico e alba del Novecento, fra archeologia ed avanguardia, fra gli idoli cicladici e le sculture lignee che Gauguin intagliò nei suoi anni di Tahiti, il percorso fluttua fra passato e presente in cerca di ritorni, sentimenti condivisi, eredità genetiche, spinte effusive destinate a riaffiorare a fasi alterne, come nei cicli geologici, e a guidare le mani degli autori tese a plasmare forme affini. Non, dunque, l’idea del viaggiatore che, esplorando, trova, assorbe e replica. Ma il concetto, più vitale, che l’antico e il moderno si tocchino al di fuori del tempo e dello spazio, fortissimamente nutriti da una medesima necessità: rappresentare l’altrove attraverso statue, steli, monoliti che personifichino l’invisibile in terra.

"Non serve – scrive Chiara Gatti nel suo testo – il revisionismo postcoloniale per affermare che, nella loro statura ieratica, non vi sia nulla di primitivo, esotico, conturbante. È astrazione allo stato puro. Sono dee madri, pietose e grandiose allo stesso tempo, come prefiche egizie, come offerenti etrusche, come ancelle rubate alla pittura vascolare greca. E i loro sguardi che scrutano nel vuoto, immersi in un’attesa casoratiana, ricordano l’immobilità disarmata della Melencolia di Dürer, allegoria dell’intelletto umano che medita sul destino del cosmo".

Allestimento della mostra. Foto: Alessandro Moni
Allestimento della mostra. Foto: Alessandro Moni

Ponendosi criticamente come una riflessione sui concetti odierni di alterità, primitivismo e sulle loro ricadute nel cuore del dibattito postcoloniale - esteso ben oltre la storia dell’arte - la mostra affonda dentro ragioni antropologiche connaturate alla presenza di figure totemiche nei circoscritti perimetri di un’isola e spiega quanto maestri del calibro di Gauguin, Pechstein, Miró, Arp o Matisse, nel corso dei loro viaggi, abbiano rielaborato tale convivenza, proiettando le loro stesse icone statuarie nella dimensione assoluta del sacro.

Partendo dalla prima “fuga” di Gauguin verso la Bretagna, nel 1886, secondo un concetto di isola come luogo ideale, immune dalle derive del mondo civilizzato, il percorso narra l’esperienza di Jean Arp, che collezionava statuette cicladiche, irretito dal loro magnetismo concentrato in un pugno, e di Max Pechstein approdato nel 1914 nell’arcipelago di Palau, dove visse a contatto con le comunità locali sull’isola di Angaur e vi ritrasse volti maschili solenni come divinità. “Vedevo gli idoli scolpiti in cui una trepidante pietà e il timore reverenziale di fronte all’imperscrutabile potere della natura avevano impresso speranza, paura e soggezione, davanti al loro ineluttabile destino”. Joan Miró, nei suoi appunti quotidiani, evocava le statue Moai dell’Isola di Pasqua, come riferimento potente per nuove forme scultoree, riconoscendo in esse l’incarnazione di uno spirito ancestrale. E ancora, Alberto Giacometti che aveva trovato la propria isola fra i massi erratici del Maloja, fece di ogni suo ritratto un idolo, un custode del tempio, inginocchiato al cospetto dell’immateriale.

Scrive Matteo Meschiari nel suo testo a catalogo: “Il punto è cercare di capire non tanto la sociologia, la filosofia e la geopolitica dell’essere e vivere l’isola, quanto in che modo la geomorfologia Terra-Mare contenga in sé dei fossili di pensiero mitico, in che modo l’incontro tra roccia e acqua sia una specie di campo morfogenetico in grado di generare mito. Gli stereotipi concettuali legati all’isola sono un filtro oscurante: esclusione, separatezza, solitudine, naufragio, arroccamento, prigione, esilio, confino, sono solo i più diffusi, ma appena ci spostiamo in culture Ocean-centered come quella vichinga o quella polinesiana, ci rendiamo conto che l’Occidente è impastoiato in un paradigma coloniale geocentrico che dà sempre priorità alle terre, uno sguardo continentale che perpetua un modello geografico egemonico dove il mare è il vuoto. Per chi vive in mare, al contrario, l’acqua è il centro del mondo, le sue mappe indicano paesaggi sommersi e moti di correnti, mentre le isole, soprattutto quelle oceaniche, sono piccole pause, zone di sospensione nell’immensità salata, e l’arcipelago è un iperoggetto bucherellato tenuto assieme dal dinamismo delle acque, dal pieno del mare”.

Statua Menhir maschile, Bau Caddore (2800-2500 a.C.; Laconi, Museo della Statuaria Preistorica della Sardegna). Foto: Nicola Castangia
Statua Menhir maschile, Bau Caddore (2800-2500 a.C.; Laconi, Museo della Statuaria Preistorica della Sardegna). Foto: Nicola Castangia
Paul Gauguin, Paesaggio in Bretagna - Vacche all’abbeveratoio (1885; olio su tela; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
Paul Gauguin, Paesaggio in Bretagna - Vacche all’abbeveratoio (1885; olio su tela; Milano, Galleria d’Arte Moderna)
Idolo schematico, cultura di Keros-Syros, Antico Cicladico II (2700-2300 a.C.; marmo, 28x14x16 cm; Parigi, Musée du Louvre)
Idolo schematico, cultura di Keros-Syros, Antico Cicladico II (2700-2300 a.C.; marmo, 28x14x16 cm; Parigi, Musée du Louvre)
Francis Picabia, Tramonto su Port-de-Bouc (1904; litografia, 46x61 cm; Collezione privata)
Francis Picabia, Tramonto su Port-de-Bouc (1904; litografia, 46x61 cm; Collezione privata)
Giuseppe Biasi, Donne al lago (1927; pittura e tempera su carta, 50x55 cm; Collezione d’arte della Fondazione di Sardegna)
Giuseppe Biasi, Donne al lago (1927; pittura e tempera su carta, 50x55 cm; Collezione d’arte della Fondazione di Sardegna)
Florence Henri, Composizione – La gloria che fu della Grecia (1933 circa; fotomontaggio – stampa fotografica analogica del 1975, 23,5x29,5 cm; Collezione privata) © Martini & Ronchetti, su concessione di Archives Florence Henri
Florence Henri, Composizione – La gloria che fu della Grecia (1933 circa; fotomontaggio – stampa fotografica analogica del 1975, 23,5x29,5 cm; Collezione privata) © Martini & Ronchetti, su concessione di Archives Florence Henri
Jean Arp, Hurlou (1957; bronzo, 98x45x47 cm; Locarno, Collezione Città di Locarno)
Jean Arp, Hurlou (1957; bronzo, 98x45x47 cm; Locarno, Collezione Città di Locarno)
Joan Miró, Senza titolo (1974 circa; acrilico su tela, 163x131 cm; Palma di Maiorca, Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca)
Joan Miró, Senza titolo (1974 circa; acrilico su tela, 163x131 cm; Palma di Maiorca, Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca)

Una selezione di oltre 70 opere conta reperti archeologici in arrivo dai maggiori musei di archeologia della Sardegna, dal Menhir Museum di Laconi e dai Musei della Bretagna, oltre al prestito eccezionale concesso dal Dipartimento di antichità greche, etrusche e romane del Musée du Louvre di Parigi. Accanto a questi, le opere dei maestri moderni giungono da importanti collezioni europee, fra cui la National Gallery Prague (per le sculture lignee di Gauguin), la Galleria d’arte moderna di Milano, il Musée départemental Maurice Denis, il Museo della città di Locarno, la Fondation Giacometti e gli Archives Henri Matisse, cui si aggiungono l’Archivio Florence Henri e collezioni private italiane come Diffusione Italia International Group srl e la collezione di stampe di Enrico Sesana.

Un affondo dedicato alla Sardegna preistorica offre, infine, un approfondimento sul mondo dell’idolo in terra sarda, articolato intorno a quattro nuclei tematici principali: il toro (simbolo maschile associato al culto del potere e della fertilità), la Dea Madre (figura femminile legata alla nascita e alla continuità della vita), il “capovolto” (rappresentazione dell’aldilà e del rovesciamento rituale), e le statue menhir antropomorfe, veri idoli scolpiti nella pietra e destinati a dominare il paesaggio come presenze eterne.

L’allestimento, curato dall’architetto Giovanni Maria Filindeu, organizza l’insieme delle opere esposte in una forma spaziale che richiama la configurazione di un arcipelago formato da piccoli raggruppamenti tematici. A guidare l’articolazione degli elementi, sia a parete che a pavimento, sono l’uso intenzionale e critico del colore e la scelta dei materiali. In particolare, il celenit (un aggregato di fibre di legno e cemento) utilizzato per le basi espositive, oltre all’impiego della sabbia lavata, legante naturale ed evocativo, i cui toni algidi sposano la palette estiva delle trame che disegnano mappe metafisiche.

Per tutte le informazioni, potete visitare il sito ufficiale del Man di Nuoro.

Informazioni sulla mostra

Titolo mostraISOLE E IDOLI
CittàNuoro
SedeMAN di Nuoro
DateDal 27/06/2025 al 16/11/2025
ArtistiHenri Matisse, Paul Gauguin, Jean Arp, Albrecht Dürer, Joan Mirò, Max Pechstein
TemiNovecento

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