Il Rinaldo e Armida di Alessandro Tiarini: una traduzione per immagini di Torquato Tasso


Alessandro Tiarini (Bologna, 1577 - 1668) è stato uno dei pittori più colti d'inizio Seicento: grande lettore, con il “Rinaldo e Armida” della Collezione BPER Banca di Modena ci ha lasciato una delle più belle interpretazioni in pittura di Torquato Tasso.

È difficile dire quale sia stato il pittore del Seicento che meglio seppe tradurre in immagini i versi della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Se però si dovesse indicare l’artista che con più passione s’avvicinò all’universo tassesco, i dubbî comincerebbero a dissiparsi, ed emergerebbe con tutta la sua forza il nome del bolognese Alessandro Tiarini, avido lettore, al punto che questa sua dedizione per la letteratura, alla base di gran parte dei suoi più ammirati capolavori, gli fu riconosciuta anche dai suoi contemporanei. “Fu gran lettore e gli piacque vedere tutte le storie e favole”, scrisse Carlo Cesare Malvasia. “Studiò massime Erodoto; prima che facesse un’opra propostagli andava a a vedere gl’auttori che lo trattavano elegendo il luogo l’imparava a mente la sera e poi la matina svegliato la ruminava a lo scuro e se l’andava figurando tutti que’ personaggi il luogo, le circostanze e gl’accidenti”.

Gli “accidenti” cui si riferisce Malvasia (che li chiamava anche “aggiunti”) sono le situazioni che Tiarini crea per offrire al riguardante un’interpretazione personale del racconto. Elementi che il testo non narra esplicitamente, sottesi, dettagli che si possono cogliere attraverso il linguaggio delle immagini, e che Tiarini adopera per far emergere il significato dei versi, delle parole, oltre che per cercare il massimo coinvolgimento dell’osservatore. E sono anche la chiave per meglio comprendere il modo in cui questo grande e originale seguace dei Carracci affrontava i temi della letteratura. Della Gerusalemme Liberata, lo appassionava soprattutto la storia di Rinaldo e Armida. La bellissima maga pagana, viva e ammaliante incarnazione dell’erotismo tassesco, che cerca coi suoi poteri magici d’indebolire l’esercito crociato, s’innamora di Rinaldo, e finisce per vedere le armate musulmane sconfitte e se stessa abbandonata dall’amato: sopraffatta dai suoi sentimenti, cerca di togliersi la vita ma viene salvata all’ultimo proprio da Rinaldo.

Tiarini raffigurò quasi tutti i momenti della storia: alla Galleria Borghese di Roma, per esempio, si conserva un quadro che si concentra sul celebre episodio del carro di Armida, il mezzo col quale la maga trasporta Rinaldo, addormentato, nella sua isola incantata, mentre la Galleria di Palazzo Hercolani a Bologna ne custodisce uno in cui è raffigurato il guerriero cristiano che lascia sull’isola l’amata, assopita a sua volta. Il più famoso è però di sicuro quello conservato nella splendida collezione di BPER Banca a Modena. È il più famoso perché è anche il più teso e il più drammatico: è il racconto dell’attimo in cui Armida, ormai in procinto di suicidarsi, viene colta di spalle da Rinaldo che sventa il suo piano funesto. Un tema che Tiarini sviluppò almeno due volte, come s’apprende dalle fonti, e una di queste versioni, oggi conservata in Francia, ha una storia particolarmente illustre: si trovava a Roma nella collezione del cardinale Alessandro d’Este e alla scomparsa di questi, nel 1624, passò alla nipote, la principessa Giulia, figlia del duca Cesare d’Este, per poi giungere nella raccolta della Galleria Estense di Modena, dalla quale fu asportata il 22 maggio del 1796 al tempo delle spoliazioni napoleoniche, e oggi è al Musée des Beaux-Arts di Lille.

Alessandro Tiarini, Rinaldo e Armida (1620-1625 circa; olio su tela, 120 x 150 cm; Modena, Collezione BPER Banca)
Alessandro Tiarini, Rinaldo e Armida (1620-1625 circa; olio su tela, 120 x 150 cm; Modena, Collezione BPER Banca)

La versione di Banca BPER, che si pensa (senza grossi dubbî) sia quella vista da Malvasia nella collezione bolognese del cardinal Vidoni, è però di gran lunga superiore e meglio riuscita rispetto a quella del museo francese, per il modo decisamente più intenso, vivido e partecipe con cui Tiarini restituisce sulla tela il dramma che si consuma tra i versi di Torquato Tasso.

È una delle traduzioni in immagini del poema tassesco più drammatiche e al contempo più sensuali che il Seicento abbia mai prodotto. Ed è anche una delle più aderenti alle ottave della Gerusalemme liberata. L’intera composizione è orchestrata su di una diagonale che contiene, da sola, tutti gli elementi della narrazione, costituisce l’asse visivo che convoglia l’attenzione del riguardante, e accentua il pathos d’un’azione che comincia e s’esaurisce in pochi secondi. La maga, vestita con abiti sontuosi, rivolge verso di sé la punta acuminata del dardo che tiene con la mano destra, distendendo il braccio. La freccia punta dritta verso il seno, dando vita a un contrasto, giustamente rilevato da Daniele Benati, che ben s’attaglia alla poesia artificiosa e labirintica della Gerusalemme Liberata: le forme acute e rigide dell’arma contro le voluttuose rotondità del seno dell’eroina pagana. L’espressione di lei s’abbandona già al deliquio, ma prima che la saetta trafigga il suo cuore, Rinaldo in armatura, indossando l’elmo con l’aquila simbolo della casata degli Este, interviene abbrancandola alle spalle per salvarla.

È un’immagine che condensa l’ottava più drammatica del canto XX: “Qui tacque e, stabilito il suo pensiero, / strale sceglieva il più pungente e forte, / quando giunse e mirolla il cavaliero / tanto vicina a l’estrema sua sorte, / già compostasi in atto atroce e fero, / già tinta in viso di pallor di morte. / Da tergo ei se le aventa e ’l braccio prende / che già la fera punta al petto stende”. C’è tutto, nel quadro di Tiarini: lo strale pungente e forte già indirizzato verso il cuore di Armida, l’arrivo del cavaliere cristiano, il pallore mortale che sbianca il volto della maga, il modo in cui Rinaldo la prende e anche il dettaglio sensuale dell’eroe che “e‘ntanto al sen le rallentò la gonna”, come leggiamo nell’ultimo verso dell’ottava successiva. Eccolo dunque uno degli “accidenti”, degli “aggiunti” di Tiarini: “il pittore”, scrive Lucia Peruzzi, “trasferisce la vena malinconica del poeta su un piano di esplicita sensualità e fa piegare e cedere il corpo di Armida […] lungo la diagonale del melodrammatico gesto”. Ed è per tal ragione, per questo modo di caricare l’erotismo della scena, che l’opera diventa “uno dei risultati più significativi di quella ricerca espressiva sulla quale, all’insegna della formula oraziana dell’ut pictura poësis, si misurarono i teorici dell’arte del Seicento”.

Si respira aria d’Emilia, guardando questo dipinto. Da un lato, per i suoi esiti formali: Tiarini, ch’era stato allievo di Prospero Fontana, s’era formato nell’orbita della scuola carraccesca, e aveva studiato i grandi maestri (dandone prova, a titolo d’esempio, nei vorticosi affreschi della basilica della Ghiara di Reggio Emilia, debitori di quelli parmensi del Correggio, e capaci d’assicurargli un duraturo successo), si prodiga qui in una ricerca del vero mediata attraverso forme misurate e che però già si collocano, con l’esuberanza del dramma che si dipana dinnanzi ai nostri occhi come se stessimo assistendo a una pièce di teatro, nell’orbita della grande pittura barocca. Moduli tipici della pittura emiliana del tempo. E ancora, la “risaltatissima intelaiatura luminosa”, collocata in rapporto alle ricerche di Ludovico Carracci e di Lanfranco, e i gesti ampî e teatrali al limite della solennità, sono “le prerogative destinate a essere accolte nel seguito della cultura reggiana e in particolare nell’operato di Luca Ferrari” (così Daniele Benati). Dall’altro lato, è un dipinto che c’informa degli orientamenti culturali e dei gusti letterarî delle corti emiliana del Seicento, per le quali la Gerusalemme Liberata era una sorta di faro, e Tiarini il suo interprete più sensibile e vicino al testo, ma anche artista in grado di prendersi le libertà necessarie a suggerire al riguardante la malia del fascinoso immaginario erotico della Liberata. A Torquato Tasso sarebbe sicuramente piaciuto.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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