La Natività a lume di notte di Massa: la tormentata storia di un bellissimo dipinto, in mostra


A Massa continua la mostra che racconta la storia della Natività a lume di notte, un bellissimo dipinto del 1630 circa attribuito a Domenico Fiasella o alla sua bottega

Se entro il 15 marzo vi dovesse capitare di passare per Massa, prendetevi un po’ di tempo per visitare il Museo Diocesano e la mostra La Natività a lume di notte. Ve ne avevamo già parlato nel nostro primo articolo scritto su Il Daily Slow, e torniamo a dedicare un post alla Natività esposta in questi mesi al Museo Diocesano di Massa per approfondire la sua interessante e direi anche rocambolesca storia. Perché questo dipinto, in quasi quattrocento anni di vita, ha subito diverse vicende, anche tormentate.

La natività a lume di notte attribuita a Domenico Fiasella
La Natività attribuita a Domenico Fiasella o alla sua bottega; 1630 circa; Massa, Museo Diocesano
Chiariamo intanto che non sappiamo chi sia l’autore di questo dipinto tanto denso di lirica tenerezza quanto pregno di naturalismo. Tuttavia, gli indizi che hanno portato gli storici dell’arte a proporre il nome di Domenico Fiasella (o forse anche quello della sua bottega) non sono pochi. Il turbinio degli angioletti in volo ricorre spesso nell’opera del pittore ligure, e questo in particolare ricorda quello del Martirio di santa Barbara della chiesa di San Marco al Molo di Genova. Il volto giovanile e con certi accenni di sensualità della Madonna richiama certe sante e Madonne realizzate attorno agli anni Trenta (vale la pena citare la pala della chiesa di Pugliola, piccolo borgo dello spezzino che si trova sulla collina che sovrasta Lerici). La capacità di unire armoniosamente naturalismo di ascendenza caravaggesca e classicismo è poi il tratto peculiare dell’opera di Fiasella. A tutto ciò si aggiunga il fatto che, negli anni Trenta, Fiasella iniziò a intrattenere rapporti con i Cybo Malaspina del principato di Massa e Carrara, e il fatto che il dipinto è citato come opera della cerchia fiasellesca da parte di un erudito del tempo, Giovan Battista Bergamini, ed ecco che il nome del pittore sarzanese e la datazione (attorno al 1630) sembrano essere i più plausibili.

Ricostruzione della chiesa di San Pietro
Ricostruzione della chiesa di San Pietro, a opera dell’architetto Marco Tonelli
Il dipinto si trovava in origine nella pieve di San Pietro di Massa, la chiesa più importante della città: occupava uno dei lati dell’attuale piazza Aranci, quella su cui sorge il maestoso Palazzo Ducale. Nel 1807 la chiesa fu demolita per volere di Felice ed Elisa Baciocchi, che volevano ampliare la piazza. Gli arredi liturgici e le opere d’arte dell’antica chiesa andarono così dispersi. Tra queste ultime figurava anche la nostra Natività, che era presente in San Pietro fin dal 1633. Lo sappiamo dai documenti: in quell’anno, nella chiesa, furono edificati nuovi altari, tra cui quello che doveva ospitare la Natività, e che era patrocinato da un ricco cittadino massese, un certo Baccio Farsetti. Dopo il crollo quasi totale della chiesa del 1671, causato dal fatto che l’edificio era stato ampliato nei secoli senza tener conto del troppo carico che gravava sulla struttura, l’altare della Natività fu spostato durante i lavori di rifacimento. Si arrivò così al 1807, anno in cui, come detto, la chiesa venne demolita, non senza difficoltà in quanto il governo Baciocchi non riuscì a trovare nessuno a Massa disposto a mettersi al lavoro, tanto era l’attaccamento che i massesi avevano nei confronti della loro chiesa.

La chiesetta della Beata Vergine Addolorata
La chiesetta della Beata Vergine Addolorata. Foto di Aurora Antonella Manfredi
A seguito della dispersione di tutto ciò che era contenuto all’interno dell’edificio sacro, sulla Natività, la cui ultima notazione prima della dispersione si attribuisce al pittore massese Saverio Salvioni (fu lui a descriverla, poco prima della demolizione della chiesa di San Pietro, come una “natività a lume di notte”), insistono alcuni anni di lacune documentarie: non ci sono, cioè, documenti che ci possano dire con certezza dove andò a finire il dipinto. Per ricostruire dunque la storia di questi anni dobbiamo spostarci a pochi metri da piazza Aranci, in quello che anticamente era il convento dei Servi di Maria, poco fuori dalle mura di Massa. A seguito della soppressione dell’ordine dei Servi, avvenuta anch’essa nel 1807 durante il governo napoleonico dei Baciocchi, il convento si trasformò in ospedale, e dopo la Restaurazione, la duchessa Maria Beatrice d’Este, da poco insediatasi sul trono di Massa e Carrara, affidò la gestione della struttura ospedaliera ai Barnabiti. In seguito alla nuova gestione, l’edificio subì degli ammodernamenti che riguardarono anche l’annessa chiesetta della Beata Vergine Addolorata. Dal momento che durante questi lavori furono impiegati diversi oggetti e materiali provenienti dall’antica San Pietro, è probabile che in questi anni la Natività finì nella chiesetta, dove è attestata per la prima volta in un inventario, redatto nel 1844 dai Gesuiti, che succedettero proprio quell’anno ai Barnabiti nella gestione dell’ospedale. In occasione del trasferimento, la Natività dovette subire, purtroppo, dei tagli sui lati, operati con il fine di adattare l’opera alla nuova collocazione: purtroppo, al tempo, l’attenzione verso le opere d’arte non era la stessa di oggi.

Si arriva quindi al 1859, anno in cui a Massa, come in altre città d’Italia, scoppiano i moti unitari, e i padri Gesuiti devono abbandonare la struttura: a seguito dell’unità d’Italia, l’ex convento fu acquistato dal Comune di Massa che lo fece diventare sede del tribunale cittadino, di scuole e di altre attività (ancora oggi alcune scuole hanno sede nei locali dell’antico convento). La Natività rimase dov’era, anche se andò incontro a un notevole degrado, tanto che si rese necessario l’abbattimento della cappella che la ospitava, e l’opera subì uno spostamento all’interno del piccolo oratorio. Dopo la seconda guerra mondiale, il parroco Angelo Ricci fece restaurare la chiesetta e per l’occasione il dipinto fu inviato alla Soprintendenza per un primo restauro: tornò nella sua sede nel 1958. La tela, di nuovo dimenticata, è stata in tempi recenti trasferita presso il Museo Diocesano e di nuovo restaurata. La mostra in corso in questi giorni è stata organizzata proprio a restauro concluso.

Particolare del volto della Madonna
Particolare del volto della Madonna
Ed è proprio grazie a quest’ultimo restauro che è stato possibile ricostruire la travagliata ma al contempo interessantissima storia di questo dipinto. Un esempio della grande importanza del restauro? L’eliminazione delle ridipinture di epoche posteriori ha permesso di portare alla luce gli elementi del dipinto interessati dalle decurtazioni a seguito dello spostamento: la scoperta è stata decisiva per capire quali fossero stati i passaggi che hanno interessato l’opera, e quindi per dare un notevole impulso alla ricerca sulla tela (oltre che per scoprirne l’autore). La mostra, curata da un giovane storico dell’arte, Andrea Ginocchi, espone una fitta serie di documenti che testimoniano le vicende dell’opera: gli antichi disegni della chiesa di San Pietro, i progetti del convento dei Servi, i documenti dell’epoca napoleonica, il quaderno di Angelo Ricci, e molto altro, in un percorso coerente che, dopo aver mostrato al visitatore la Natività, lo accompagna, seguendo il filo della storia, attraverso gli eventi che hanno interessato il quadro. Un appuntamento quindi da non perdere per gli appassionati d’arte, e anche di storia. Fosse anche solo per contemplare in silenzio quella Madonna così dolce e aggraziata nella sua semplicità quasi sensuale, o quel Gesù bambino teneramente illuminato, o la festa degli angeli svolazzanti, o il gesto naturale del san Giuseppe che ripara, con la mano, la luce della candela.

Gesù Bambino, dalla Natività
Gesù Bambino, dalla Natività


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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