Sette (pessimi) luoghi comuni sull'arte italiana


Una serie di pessimi luoghi comuni da sfatare sull'arte italiana, di quelli che spesso sentiamo ripetere!

Chi ha un minimo interesse per la storia dell’arte si è trovato, almeno una volta nella vita, di fronte a uno di questi sette luoghi comuni sull’arte italiana. Sette pessimi miti che ricorrono spesso sulle pagine dei giornali o sulle bocche dei politici e che risulta necessario sfatare... per cui ogni volta che sentirete parlare di uno di questi luoghi comuni, fate un giro da queste parti... !

1. L’arte italiana è il petrolio del paese
La definizione di arte come petrolio d’Italia risale al 1986 e si deve a Gianni de Michelis, all’epoca ministro del Lavoro nel secondo governo Craxi: secondo l’Enciclopedia Treccani1, la frase di De Michelis fu “La cultura è il petrolio d’Italia, e deve essere sfruttata”, e fu citata dal giornalista Roberto Suro in un articolo apparso il 21 dicembre 1986 sul New York Times, dal titolo Saving the Treasures of Italy. Non ha alcun senso paragonare l’arte al petrolio. Il petrolio si brucia, il petrolio esaurisce: vogliamo pensare quindi di bruciare ed esaurire l’arte? E in più, se si vuole iniziare un discorso serio sull’arte non si può pensare a essa come a una mera fonte di guadagno economico, perché le funzioni dell’arte sono altre e sono più elevate. Per chiunque voglia approfondire le funzioni dell’arte, consigliamo un articolo scritto lo scorso anno proprio qua, sul nostro sito: A che cosa serve la storia dell’arte?, per dimostrare che l’arte non è marketing ma è conoscenza, emozione, educazione, senso civico.

2. L’Italia ha il 50-60-70... 90% del patrimonio culturale mondiale
Un altro luogo comune particolarmente irritante e ricorrente è quello che assegna all’Italia una percentuale del patrimonio artistico mondiale, peraltro sempre diversa, si va dal 50% fino addirittura al 90%. Non esistono stime esatte del patrimonio artistico mondiale, e fare percentuali del genere è completamente insensato. L’unica lista che potrebbe ricordare questo fantomatica classifica del patrimonio artistico mondiale potrebbe essere l’elenco dei siti culturali del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO, ma la realtà è ben diversa dall’immaginazione: l’Italia non avrebbe che una percentuale di poco superiore al 6% sul totale. Ma anche di questo avevamo già parlato sul nostro sito: La favola dell’Italia che ha il “50% del patrimonio artistico mondiale”. Pensateci bene prima di fare statistiche completamente sballate! :-)

3. Gli Uffizi dovrebbero avere lo stesso numero di visitatori del Louvre
Ogni anno, diversi quotidiani e riviste riportano la classifica dei musei più visitati del mondo redatta da The Art Newspaper: prendiamo per esempio l’articolo firmato da Carlotta Garancini e uscito il 10 aprile 2012 su Vanity Fair (giusto perché è uno dei primi che abbiamo trovato sui motori di ricerca). Spesso e volentieri (non è tuttavia il caso di questo articolo, ma si veda per esempio il primo commento) ci si “stupisce” (per non dir di peggio) del fatto che i nostri musei siano molto più indietro rispetto a quelli stranieri: per esempio, la classifica 2012 era guidata dal Louvre e il primo museo italiano erano gli Uffizi al 19° posto. Chi asserisce che gli Uffizi dovrebbero avere lo stesso numero di visitatori del Louvre o è un incosciente o non è mai stato agli Uffizi (o al Louvre). Il Louvre ha una superficie, riservata alle gallerie, di 60.600 mq, mentre per gli Uffizi è di 5.400 mq (anche se i nuovi progetti la stanno ampliando, ma all’epoca della classifica, la superficie era quella). Prendendo per buoni i dati delle classifiche, risulterebbe che quindi gli Uffizi avrebbero un rapporto di visitatori per metro quadro triplo rispetto a quello del Louvre. Vuol dire che se per ogni metro quadro il Louvre attira un visitatore, gli Uffizi ne attirano tre. È ancora il caso di pensare che gli Uffizi dovrebbero competere con il Louvre (o musei di analoghe dimensioni) quanto a numeri assoluti? Oppure i nostri musei sono fin troppo congestionati e bisognerebbe pensare a decentrare i visitatori dei musei più affollati? Bisogna poi considerare che l’Italia ha un patrimonio museale molto diffuso, ed è quindi del tutto normale che in luoghi dove i musei sono in numero inferiore, i numeri assoluti dei visitatori siano più alti rispetto a quelli dei nostri musei.

4. I biglietti per i musei in Italia costano troppo
In questo caso basta fare alcuni esempi. Prendiamo i musei più grandi e visitati: il biglietto intero agli Uffizi o alla Galleria dell’Accademia costa 6,50 euro. Alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini l’ingresso costa 7 euro. Più costosi la Pinacoteca di Brera (10 euro) e la Galleria Borghese (11 euro più 2 per la prenotazione obbligatoria). Ma la Pinacoteca di Brera e la Galleria Borghese rappresentano casi del tutto eccezionali. Generalmente, i prezzi sono di gran lunga più bassi. Esempi? La Pinacoteca Nazionale di Bologna, 4 euro. Stesso prezzo per la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola a Genova e per i Musei Nazionali di Lucca (e per vedere entrambi i musei nazionali lucchesi, il biglietto cumulativo è di 6,50 euro). Ma ci sono anche realtà dove i biglietti costano anche meno, per esempio i musei del Castello Sforzesco di Milano hanno un intero di 3 euro (7 euro il cumulativo per vederli tutti), e addirittura esistono musei a ingresso gratuito, come la Galleria dell’Accademia di San Luca a Roma. Molte città poi hanno attivato iniziative (card, biglietti cumulativi ecc.) che permettono di visitare tanti musei con una spesa irrisoria. Per esempio, a Perugia esiste la card Perugià Città Museo che con 10 euro consente l’accesso a cinque musei del circuito in 48 ore. Esiste anche nella versione per la famiglia: con 35 euro, quattro persone hanno accesso a dodici musei in un anno: meno di un euro a museo per persona. È chiaro poi che il “troppo” e il “poco” sono concetti relativi, ma nella stragrande maggioranza dei casi, entrare in un museo costa meno che prendere un mojito in un locale alla moda.

5. I depositi dei musei italiani contengono grandi capolavori nascosti
I depositi dei musei italiani sono molto importanti, sono stati definiti da Tomaso Montanari come i “polmoni attraverso cui il percorso espositivo del museo ‘respira’”2. Ma non è affatto vero che contengano chissà quali capolavori che vengono celati alla vista del pubblico. A sfatare questo mito ci ha pensato Bruno Zanardi, restauratore e docente di Teoria e tecnica del restauro all’Università di Urbino, in un articolo apparso su Mondoperaio nell’ottobre del 2012 (e consigliamo la lettura integrale dell’articolo in quanto si parla anche di altri miti affrontati in questo nostro articolo)3: Zanardi spiega che i musei non nascondono opere che potrebbero far “aumentare a dismisura i radi visitatori di oggi”, ma “si tratta infatti quasi solo di opere minori, la cui funzione è soprattutto dare senso di contesto culturale alle opere maggiori esposte, perciò opere «di servizio» ancora più difficili da spiegare a un pubblico culturalmente non attrezzato, cioè la gran parte dei visitatori dei musei”. E Bruno Zanardi fa questo esempio: se nel museo troviamo un’opera di Leonardo, nel deposito troveremo un’opera di Marco da Oggiono, un artista leonardesco che ebbe fama locale, la cui opera è senza dubbio importante per spiegare il contesto entro cui l’artista operò (ovvero la diffusione della pittura leonardesca nella Lombardia del Cinquecento), ma che di sicuro non è percepito dal pubblico come “autore di grandi capolavori”. E comunque, anche le opere importanti di Marco da Oggiono spesso e volentieri sono esposte. Un altro contributo è il commento di Grazia Agostini apparso al nostro articolo Affittansi opere d’arte italiane, in cui l’autrice, storica dell’arte, parla proprio di questo argomento.

6. I musei pubblici producono solo perdite, ma con la gestione privata guadagnerebbero
Questo è un altro mito piuttosto difficile da sradicare, in virtù della sua longevità, che probabilmente è pari solo a quella dell’“arte come petrolio d’Italia” o a quella dell’“x% del patrimonio mondiale”. Intanto, la funzione di un museo non dovrebbe essere quella di produrre profitto economico, bensì produrre cultura, e un museo riveste, socialmente, la stessa utilità che rivestono, per esempio, le scuole. È vero che esiste una scuola privata, ma sarebbe intelligente e lungimirante affidare tutta la scuola nelle mani di privati? Tornando a noi, la ricerca di profitto e la produzione di cultura, come spiega Anna Coliva (attuale direttrice della Galleria Borghese di Roma) in un articolo apparso nel 2002 sul Corriere della Sera4, sono due operazioni antitetiche: “se si configurasse realmente una riforma gestionale nei musei, con a capo un’impresa che ricerca il profitto come è nella sua missione, affiancata dallo specialista che deve invece sostenere le finalità anche costituzionali del museo, si avrebbe l’assurdo di due soggetti con due missions diverse che, naturalmente, non possono coabitare: l’uno o l’altro deve necessariamente prevalere”. Nello stesso articolo, l’autrice fa riferimento allo spesso frainteso “modello americano”: secondo i fraintenditori, tale modello infatti lascerebbe ai privati la gestione del museo dando loro modo di produrre utili. Tutt’altro: molti dei maggiori musei americani (come il MoMA o il Guggenheim) sono gestiti proprio da organizzazioni no-profit. L’articolo di Anna Coliva merita di essere letto attentamente, così come merita approfondimenti l’argomento, che in questa sede trattiamo in breve e per sommi capi, ma non escludiamo di tornarci con articoli dedicati.

7. In Italia non ci sono soldi per la cultura
Diciamo soltanto che, ogni anno, l’evasione fiscale costa all’Italia 180 miliardi di euro. È altresì noto che l’Italia nel 2011 ha destinato alla cultura solo l’1,1% del proprio PIL5 (e il “budget” del MiBAC è di circa 1,5 miliardi di euro6). Chi può credere che in Italia manchino i soldi per la cultura? :-)


Note

1. Cfr. voce su Gianni De Michelis nel sito dell’Enciclopedia Treccani.

2. Tomaso Montanari, Dalla Costituzione alla prostituzione: il piano dei Saggi per il patrimonio, da Il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2013.

3. Bruno Zanardi, La relazione sbagliata della Corte dei Conti sul patrimonio artistico e una ipotesi per la crescita economica in rapporto a patrimonio artistico e ambiente, da Mondoperaio, 1° ottobre 2012, n. 9, riportato su Patrimonio SOS

4. Anna Coliva, Ma il museo privato negli USA è no profit, da Il Corriere della Sera, 17 febbraio 2012

5. Italia ultima nella spesa pubblica per scuola e cultura. Peggio solo la Grecia, da Il Sole 24 Ore, 6 aprile 2013

6. Beni culturali: Bray, tutto il Governo deve fare scelte chiare, da ADN Kronos riportato su Yahoo! Notizie, 1 luglio 2013


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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