La Madonna del Parto di Piero della Francesca, una delle più belle immagini della maternità


La Madonna del Parto, capolavoro di Piero della Francesca conservato a Monterchi in Valtiberina, è una delle più belle immagini della maternità. Ed è stata a lungo oggetto di una profonda venerazione popolare, che per certi versi continua ancora oggi. La sua storia in questo articolo.

Una scena intensa e profonda del film La prima notte di quiete di Valerio Zurlini, opera del 1972, vede per protagonisti Alain Delon, che veste i panni del professor Daniele Domenici, e Sonia Petrova, che nella pellicola interpreta la sua allieva Vanina Abati: i due giovani si trovano davanti alla Madonna del Parto di Piero della Francesca (Borgo San Sepolcro, 1412 circa – 1492), della quale Alain Delon fornisce una descrizione densa e poetica, immaginando la Vergine del grande artista rinascimentale come una “dolce contadina adolescente, altera come la figlia d’un re”, distolta dalle sue attività quotidiane, magari il gregge a cui stava badando, per essere chiamata a fare da modella per la madre di Dio. “Forse”, si domanda l’attore, “già sente oscuramente che la vita misteriosa che giorno per giorno cresce in lei finirà su una croce romana, come quella d’un malfattore”. E la visione del capolavoro pierfrancescano ispira alla sua allieva una riflessione su cosa sia la maternità: “Due che si amano. Ecco, forse. Perché altrimenti rimane soltanto un corpo che si deforma. Rimane solo il disagio. La pena. La crudeltà della gente che comincia ad accorgersene. Senza che ci sia più nulla da fare. O quasi”.

L’opera di Piero della Francesca, conservata oggi presso il Museo Civico della Madonna del Parto di Monterchi, in Valtiberina, ha affascinato generazioni di studiosi, scrittori, registi. Basterà pensare anche alla scena di Nostalgia di Andrej Tarkovskij, che col film di Zurlini ha un elemento in comune, e cioè nessuna delle due scene è stata girata di fronte all’opera vera: ne La prima notte di quiete si tratta di una riproduzione installata per l’occasione dentro alla pieve di San Pietro a Ponte Messa, vicino a Pennabilli, in Romagna, mentre in Nostalgia l’opera è riprodotta nella chiesa di San Pietro a Tuscania. È quella di Nostalgia la scena, anch’essa famosa, in cui la protagonista Eugenia, interpretata da Domiziana Giordano, entra nella chiesa e vede alcune donne che recitano una litania per la Vergine, e domanda al sagrestano perché le donne siano più devote degli uomini, ottenendo come risposta una considerazione che esprime una visione essenzialmente maschilista della questione (“una donna serve per far dei figli, tirarli su, con pazienza e sacrificio”), alla quale Eugenia replica in maniera orgogliosamente sarcastica (“E non serve a nient’altro, secondo lei?”). Della Madonna del Parto hanno poi parlato Muriel Spark, Piero Calamandrei, Ingeborg Walter, Roberto Longhi e moltissimi altri. È probabile, anzi, che sia stato lo stesso Longhi a ispirare il breve monologo di Alain Delon, con l’elegante scrittura della monografia pubblicata nel 1927 da Valori Plastici: “Solenne come figlia di re sotto quel padiglione soppannato di ermellini, essa è tuttavia rustica come una giovane montanina che venga sulla porta della carbonaia. Dall’una mano rovesciata sul fianco, dall’altra accennando al grembo, entrambe tempestate e legnosette, sorgono gesti di melanconica purità”.

Piero della Francesca, Madonna del Parto (1450-1465 circa; affresco staccato, 260 x 203 cm; Monterchi, Musei Civici Madonna del Parto)
Piero della Francesca, Madonna del Parto (1450-1465 circa; affresco staccato, 260 x 203 cm; Monterchi, Musei Civici Madonna del Parto)

Nei secoli, la Madonna del Parto è diventata quasi un simbolo stesso della maternità, un’allegoria dell’essere madre, un’immagine di devozione per le mamme di ogni angolo del mondo. La Vergine è al centro, splendida, severa e dolce allo stesso tempo, giovinetta eppure già consapevole del suo ruolo, elegante, sobria, più alta dei due angeli che la accompagnano, e dunque dipinta ancora secondo le proporzioni gerarchiche dell’arte medievale, e nonostante ciò così credibile. È raffigurata con un lungo abito blu che copre tutto il suo corpo, evidenziando però la realistica rotondità della pancia, che lei accarezza con la mano destra (la sinistra, invece, è appoggiata al fianco). Il volto è fresco, adolescenziale, il colorito eburneo, gli occhi leggermente a mandorla. Si trova dentro un padiglione foderato di pelli di vaio: questo baldacchino è simile a quello dipinto da Piero della Francesca nella scena del Sogno di Costantino che vediamo negli affreschi della Leggenda della Vera Croce che decorano la Cappella Bacci nella chiesa di San Francesco ad Arezzo. Due angeli, uno con la veste verde e le ali violacee, l’altro con veste e ali di colori invertiti rispetto al compagno che sta sulla sinistra rispetto a noi che guardiamo, stanno scostando, in posizione simmetrica e guardando verso l’osservatore per catturare la sua attenzione ed esortarlo a guardare al centro, la preziosa tenda di tessuto broccato quasi a voler mostrare la madre di Dio. Un sentore quasi domestico pervade questa raffigurazione: si percepisce un senso d’intimità, si ha quasi la sensazione di trovarsi dinnanzi a un’immagine vicina, familiare.

Secondo lo storico dell’arte Antonio Paolucci, Piero della Francesca, con la rappresentazione della sua Vergine incinta, avrebbe voluto tradurre in immagini il verso dell’Ave Maria “Tu sei benedetta tra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno”. E sempre Paolucci suggeriva un parallelo (allo stesso modo del film La prima notte di quiete, dove ancora l’accostamento è affidato alle parole di Alain Delon) con l’invocazione alla Vergine che si legge nel canto XXXIII del Paradiso di Dante Alighieri: “Vergine madre, figlia del tuo figlio, / umile et alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio; / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura”. A sua volta, forse, Piero di Francesca potrebbe aver ispirato anche suoi colleghi artisti: per esempio, nel Duomo di Sansepolcro si conserva un tabernacolo di Andrea della Robbia dove vediamo due angeli che, come quelli di Piero, stanno aprendo una tenda. Quanto invece alla possibile derivazione dell’iconografia della Madonna del Parto, secondo l’insigne storico dell’arte Irving Lavin potrebbe trattarsi dello sviluppo dell’iconografia greca della Platytera (letteralmente “la più ampia”), in base alla quale Gesù Bambino veniva raffigurato dentro al corpo della Vergine, circondato da una mandorla. La tradizione della Platytera avrebbe avuto, scrive Lavin, “uno sviluppo del tutto particolare a Firenze e in Toscana nel XIV secolo, quando emerse un nuovo tipo iconico poi conosciuto come la Madonna del Parto. L’esempio più famoso è senz’altro quello di Piero della Francesca, momento culminante di questa tradizione, ma sono numerosi gli esempH anteriori, la maggior parte dei quali trecenteschi e tutti di ambito fiorentino o toscano”. Lavin fornisce una possibile spiegazione del senso di questa raffigurazione: “Si dovrebbe sottolineare che mentre la Madonna del Parto era, naturalmente, soprattutto un’immagine mariana, il suo significato sotteso era riferito al parto di Cristo da una vergine, come è evidente dagli esempi in cui Maria indica verso la fascia che porta in vita, simbolo della sua castità”.

La Madonna del Parto nel film La prima notte di quiete
La Madonna del Parto nel film La prima notte di quiete
La Madonna del Parto al Museo Civico di Monterchi
La Madonna del Parto al Museo Civico di Monterchi. Foto: Luigi Burroni
La Madonna del Parto al Museo Civico di Monterchi
La Madonna del Parto al Museo Civico di Monterchi. Foto: Luigi Burroni
Piero della Francesca, Sogno di Costantino (1452-1466; affresco, 329 x 190 cm; Arezzo, San Francesco, Cappella Bacci)
Piero della Francesca, Sogno di Costantino (1452-1466; affresco, 329 x 190 cm; Arezzo, San Francesco, Cappella Bacci)

Per la devozione popolare, tuttavia, il significato doveva essere ancora diverso: la Madonna di Piero della Francesca aveva quasi un valore che potremmo dire apotropaico. È del resto accertato che per le mamme della Valtiberina la Madonna del Parto rappresentò, per generazioni, una sorta di icona da venerare. Lo storico dell’arte Piero Bianconi riportò addirittura che, nel 1954, quando venne ventilata l’ipotesi di prestare l’opera per una mostra a Firenze, l’allora sindaco di Monterchi si sarebbe rifiutato poiché la popolazione locale, qualora fosse accaduto qualcosa di male a una donna incinta del borgo durante l’assenza dell’opera, avrebbe reagito in maniera non esattamente positiva. Se negli anni Cinquanta questo culto era ancora così forte, come testimonia l’aneddoto, minori resistenze s’incontrarono circa trent’anni dopo, quando nel 1983 l’amministrazione comunale di Monterchi decise d’inviare l’affresco al Metropolitan Museum di New York. In quell’occasione, le proteste più vibranti furono quelle degli storici dell’arte: Cesare Brandi, per esempio, accusò gli amministratori locali di “odioso mercantilismo”, dal momento che il prestito serviva per ottenere risorse da destinare a migliorare le condizioni espositive del dipinto. L’opera poi non partì: fu stabilito che la Madonna del Parto era troppo fragile per affrontare una trasferta così lunga e insidiosa.

Ad ogni modo questo culto della Vergine come protettrice delle partorienti, secondo lo storico dell’arte Ronald W. Lightbown, ha delle ragioni spiegabili sia sulla base della teologia sia sulla base delle credenze popolari: la Vergine, infatti, non avrebbe provato alcun disagio durante la sua gravidanza miracolosa e diede alla luce Cristo senza dolore. Secondo san Bernardo di Chiaravalle, anche in questa circostanza risiede la gloria della Vergine: essere stata “fertile senza peccato, gravida senza pesantezza, e partoriente senza dolore”. Queste dottrine, spiega Lightbown, “furono certamente predicate approfonditamente sia ai semplici che ai saggi da una Chiesa per la quale l’incarnazione era uno dei due misteri principali della religione cristiana, e Maria una figura da glorificare solo poco meno di Cristo”, così che “la dottrina della gravidanza e del parto indolori di Maria fece di lei una protettrice naturale per le donne medievali, ansiose dell’assistenza celeste in giorni in cui il parto era spesso pericoloso o fatale, e il travaglio pericoloso e prolungato. Come madre di Dio, rimasta lei stessa incinta e partorita, ella, nella sua misericordia, avrebbe potuto dare aiuto e conforto a una madre umana. E in effetti l’accento nell’affresco di Piero è sulla Vergine madre, vestita come le donne di Monterchi potevano vedere qualsiasi donna incinta del paese, e il suo realismo deve essere entrato nella loro immaginazione, allora come nel 1954, quando opposero resistenza al suo trasferimento per una mostra”.

Oggi questa devozione, seppur ancora presente, si è molto affievolita rispetto a come doveva essere in antico. E sappiamo che era oggetto di venerazione proprio dai documenti antichi: già nel Cinquecento si parlava infatti delle offerte alla “Madonna della Momentana”. Simon Altmann, in un articolo del 2019, ha pensato a possibili forme di sincretismo, dal momento che in passato la collina su cui sorgeva la chiesa di Momentana era nota come Montione, contrazione dell’espressione latina Mons Iunionis, ovvero “Monte di Giunone”, ipotizzando la sopravvivenza anche all’epoca di Piero della Francesca di antichi riti legati alla maternità che fondevano elementi pagani riconducibili alla dea Giunone, in antico associata alla fertilità, ed elementi cristiani. Qualunque sia l’origine di questa devozione, si può tornare alla succitata Ingeborg Walter per avere comunque un’idea del significato che la Madonna del Parto doveva avere per le ragazze del luogo: “la rappresentazione […] permetteva alle donne, grazie al chiaro riferimento alla loro realtà, di identificarsi con la madre di Dio in una situazione per loro colma d’incertezza e di pericolo. La Madonna incinta era uguale a loro, e soltanto per effetto dell’atto di salvezza a lei destinato da Dio fu elevata al di sopra delle donne terrene, ma ciò le diede il potere di sostenerle”. Secondo la studiosa, il culto si sarebbe imposto con la sola forza della suggestione, poiché è vero che, come le disse una volta un’abitante del posto, le raffigurazioni della Vergine si trovano ovunque, ma meno frequenti sono le immagini della Madonna incinta, e una ragazza gestante che vede di fronte a sé l’immagine di una donna uguale a lei finisce per identificarsi in maniera più forte in quella figura. Può quasi percepire che la Madonna la comprende, che le è veramente vicina, fisicamente vicina.

La Madonna del Parto di Piero della Francesca non è comunque, com’è del tutto lecito attendersi, l’unica raffigurazione nota della Vergine incita: si conoscono diversi esempi iconografici anche precedenti, come la Madonna di Nardo di Cione conservata al Museo Bandini di Fiesole, la Madonna del Magnificat di Bernardo Daddi che si trova al Museo del Duomo di Firenze, la trecentesca Madonna del Parto del Museo dell’Opera del Duomo di Prato (è opera di un artista di scuola giottesca ed è uno dei più antichi esempi di questa iconografia), quella di Taddeo Gaddi nella chiesa di San Francesco di Paola a Firenze e anche due sculture conservate a brevissima distanza da Monterchi, ad Anghiari: una è la Madonna lignea attribuita a Tino di Camaino, custodita nella Badia di San Bartolomeo, l’altra invece la Madonna di Jacopo della Quercia che si trova al Museo di Palazzo Taglieschi. Lo storico dell’arte Alessandro Parronchi notò che in antico, da queste due statue, era possibile togliere la figura del Bambino, cosa che probabilmente accadeva il 18 dicembre, giorno della festa della expectatio Partus Beatae Mariae Virginis, la festa della Madre stabilita già nell’anno 656, durante il concilio di Toledo (benché entrata solo in età moderna nel calendario romano, il calendario liturgico ufficiale della Chiesa). Piero della Francesca potrebbe aver dipinto la Madonna del Parto per celebrare questa festa? Non lo sappiamo. Non è da escludersi neppure che l’opera abbia un significato politico, dal momento che, come si è visto, l’immagine della Vergine incinta era molto diffusa a Firenze e negli immediati dintorni: era tipico del tempo che, nei territori conquistati da una potenza, venissero diffusi i soggetti iconografici tipici delle zone di provenienza dei conquistatori. Anche così si segnalava l’avvenuta presa di possesso di un borgo o di una città (su queste pagine abbiamo lo si è visto, per esempio, con la Maestà di Pietro Lorenzetti, senese, dipinta per Massa Marittima). Monterchi, del resto, entrò a far parte dei territori fiorentini dopo il 1440 e la battaglia di Anghiari. Mario Salmi suggerì che Piero della Francesca poté aver dipinto quest’immagine in memoria di sua mamma, la cui famiglia era originaria di Monterchi, e che era venuta a mancare il 6 novembre del 1459. Ma non sappiamo comunque niente di sicuro.

Bernardo Daddi, Madonna del Parto (1334; tempera su tavola, 131 x 116 cm; Firenze, Museo del Duomo)
Bernardo Daddi, Madonna del Parto (1334; tempera su tavola, 131 x 116 cm; Firenze, Museo del Duomo)
Nardo di Cione, Madonna del Parto e donatore (1350 circa; tempera su tavola, 54 x 30 cm; Fiesole, Museo Bandini)
Nardo di Cione, Madonna del Parto e donatore (1350 circa; tempera su tavola, 54 x 30 cm; Fiesole, Museo Bandini)
Jacopo della Quercia, Madonna col Bambino (1420 circa; legno dipinto; Anghiari, Museo di Palazzo Taglieschi)
Jacopo della Quercia, Madonna col Bambino (1420 circa; legno dipinto; Anghiari, Museo di Palazzo Taglieschi)
Tino di Camaino, Madonna con Bambino (1317 circa; legno dipinto; Anghiari, Badia di San Bartolomeo)
Tino di Camaino, Madonna con Bambino (1317 circa; legno dipinto; Anghiari, Badia di San Bartolomeo). Foto: Francesco Bini

Che cosa sappiamo allora di certo su questo lavoro? Piero della Francesca aveva dipinto l’opera per la chiesa di Santa Maria di Momentana, detta anche Santa Maria in Silvis, una chiesetta di campagna alle pendici del colle su cui si trova Monterchi, la cui esistenza è nota fin dal Duecento. L’artista dipinse l’opera sopra un affresco trecentesco, di uno sconosciuto artista locale, che raffigurava una Madonna col Bambino: ci si accorse della sua presenza nel 1911, quando il restauratore Domenico Fiscali eseguì lo stacco dell’opera di Piero della Francesca, ordinato dall’allora Regia Soprintendenza ai Monumenti, per motivi di conservazione. Non sappiamo chi fosse il committente dato che non ci è noto, né conosciamo la datazione dell’opera: le varie ipotesi oscillano su di una forbice piuttosto ampia, tra il 1450 e il 1465. Non abbiamo grosse informazioni sulla storia antica del dipinto, ma abbiamo invece una mole di notizie più consistente su quello che accadde alla Madonna del Parto dalla fine del Settecento in poi: nel 1785, infatti, il Comune di Monterchi decise che il nuovo cimitero della cittadina doveva essere costruito proprio là dove si trovava la chiesa di Santa Maria in Silvis. Il piccolo edificio di culto venne in larga parte demolito: se ne salvò una porzione, corrispondente a circa un terzo dell’edificio, che fu trasformata in cappella funebre. La Madonna del Parto, sopravvissuta alla demolizione, fu spostata in una nicchia sopra l’altare maggiore della cappella.

Nel 1789 un terremoto colpì la Valtiberina, ma la Madonna del Parto riuscì a sopravvivere anche questa volta. Un altro terremoto si abbatté sulla zona nel 1917: ancora, l’opera riuscì a scamparla, e fu data per qualche tempo in custodia alla famiglia Mariani, abitanti del posto. Quindi nel 1919 fu traslata nella Pinacoteca di Sansepolcro, per poi essere nuovamente spostata, nel 1922, nella cappella del cimitero di Monterchi. Singolare quel che accadde all’opera durante la seconda guerra mondiale: le autorità italiane vollero salvare il prezioso dipinto, per evitasse che finisse in briciole sotto i bombardamenti o venisse saccheggiato dai tedeschi. Furono quindi inviate, per i dovuti accertamenti, due personalità come Mario Salmi, grande storico dell’arte, allora docente presso l’Università di Firenze, e Ugo Procacci, che lavorava presso le Gallerie fiorentine: racconta Piero Calamandrei che furono scambiati per tedeschi travestiti e furono respinti dalla popolazione inferocita, intenzionata a non privarsi per nessun motivo dell’opera alla quale era tanto devota. L’opera subì nel 1950 un intervento conservativo eseguito da Dino Dini, dopodiché, tra il 1955 e il 1956, la cappella venne restaurata, con anche un cambiamento nel suo orientamento originario (l’ingresso risalente al Settecento venne chiuso, e se ne aprì uno nuovo sul lato meridionale: la Madonna del Parto venne spostata dalla parete orientale, sulla quale si trovava, a quella settentrionale). Infine, nel 1992 (anno del quinto centenario della scomparsa di Piero della Francesca, momento durante il quale l’opera subì un restauro a opera di Guido Botticelli), per ragioni conservative, è stata trasferita nell’attuale Museo Civico a lei dedicato, da allora diventato la casa della Madonna del Parto: si tratta dell’ex scuola media del paese, che fu adibito a museo atto a ospitare il prezioso capolavoro. La tappa più recente di questa storia è la dotazione, nel dicembre del 2021, di un nuovo sistema di illuminazione fornito da iGuzzini Illuminazione, che ha consentito di migliorare in maniera rilevante la leggibilità dell’opera.

Oggi, non vediamo più il dipinto così come doveva apparire in antico. Ci sono forti perdite su tutti i quattro lati (basti pensare che oggi è alto due metri e mezzo, e dal momento che in origine la chiesa era alta 5 metri, possiamo immaginare che occupasse uno spazio alto almeno 4 metri), e parte di quel che è sopravvissuto è stato restaurato o ridipinto. Probabilmente in origine, come è ipotizzabile osservando le analisi tecniche, la Vergine aveva un velo dietro la sua testa. “Alcuni elementi dell’affresco, come il rapporto tra il pavimento lastricato e la parete di fondo”, ha scritto Lightbown, “rimarranno ormai sempre ambigui. La probabilità è che il pavimento si sollevasse leggermente in prospettiva, e che le sue ortogonali perdute si incontrassero in un punto di fuga abbastanza basso, all’altezza degli occhi. Ma considerato lo stato danneggiato dei bordi e dello sfondo dell’affresco, tutte queste restituzioni devono essere congetturali”.

Eppure, nonostante queste condizioni, altissimo è il fascino che quest’opera riesce ancora a sprigionare, e ancora possiamo immaginare che ci siano credenti che si rechino a venerarla. E per perpetuare questa devozione, il Comune di Monterchi ha stabilito fin da subito l’ingresso gratuito al Museo Civico della Madonna del Parto per le donne in dolce attesa. Si rinnova così una tradizione che per secoli ha legato uno dei capolavori del Rinascimento agli abitanti del borgo in cui si trova.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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