Roma, due capolavori barocchi di Algardi e Duquesnoy a Palazzo Barberini


Dal 21 ottobre la Sala Sacchi di Palazzo Barberini accoglie due busti in marmo di Alessandro Algardi e François Duquesnoy, opere che offrono una nuova prospettiva sulla Roma del Seicento e sulla cultura artistica della famiglia Barberini.

Dal 21 ottobre 2025, le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma presentano un nuovo capitolo nella valorizzazione delle proprie collezioni. Nella Sala Sacchi di Palazzo Barberini, cuore del museo romano, fanno il loro ingresso due straordinari busti barocchi firmati da Alessandro Algardi (Bologna, 1595 – Roma, 1654) e François Duquesnoy (Bruxelles, 1597 – Livorno, 1643). Le due sculture, che raccontano da prospettive differenti la complessità della Roma del Seicento, offrono un approfondimento prezioso sulla raffinata cultura artistica della famiglia Barberini e sul clima intellettuale della capitale pontificia nella prima metà del XVII secolo.

Il primo dei due busti è un’opera monumentale di Alessandro Algardi, raffigurante il cardinale Antonio Santacroce. Realizzata intorno al 1639-1641 e proveniente da una collezione privata, la scultura non era mai stata esposta al pubblico. Interamente scolpito in un unico blocco di marmo, il busto rappresenta uno degli esempi più alti della ritrattistica barocca e testimonia la straordinaria perizia tecnica e sensibilità formale dell’artista bolognese. Algardi, nato nel 1598 e trasferitosi a Roma nel 1625, fu uno dei protagonisti del classicismo barocco e uno dei pochi veri rivali di Gian Lorenzo Bernini, con il quale condivise un’intensa stagione di committenze e di confronto stilistico.

Il cardinale Antonio Santacroce, nato nel 1599 e morto nel 1641, apparteneva a una delle famiglie più influenti della Roma barberiniana. Politico di rilievo, collezionista raffinato e figura di spicco della curia pontificia, fu vicino al cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII, e partecipò attivamente alla vita culturale della città. Algardi lo ritrae con un linguaggio sobrio e misurato, lontano dalla teatralità e dalla tensione drammatica che caratterizzano i ritratti di Bernini. Nella scultura, il volto del cardinale emerge da una massa compatta di marmo, con lo sguardo fiero e assorto, i lineamenti trattenuti e una compostezza che comunica autorevolezza e introspezione. La barba e i capelli, finemente intagliati, testimoniano una cura meticolosa per il dettaglio, mentre la composizione complessiva rivela una solennità che trascende il tempo e restituisce l’immagine di un uomo consapevole del proprio ruolo, ma anche della caducità della vita.

Allestimento del ritratto del cardinale Santacroce di Alessandro Algardi. Foto: Andrea Benedetti / Gallerie Nazionali di Arte Antina - Palazzo Barberini
Allestimento del ritratto del cardinale Santacroce di Alessandro Algardi. Foto: Andrea Benedetti / Gallerie Nazionali di Arte Antina - Palazzo Barberini

Questo busto, realizzato probabilmente per decorare il palazzo di famiglia, si inserisce in quella tradizione di ritratti marmorei che, nella Roma barocca, costituivano non solo strumenti di celebrazione personale, ma anche dichiarazioni di appartenenza culturale e di gusto. L’opera di Algardi, pur accogliendo alcune suggestioni berniniane nella resa psicologica del volto, afferma una poetica autonoma, basata sull’equilibrio e sull’intimità interiore. È un linguaggio che si pone come alternativa alla spettacolarità del barocco trionfante e che, nel tempo, influenzerà profondamente la scultura romana della metà del Seicento.

Accanto al busto del cardinale Santacroce, la Sala Sacchi ospita un secondo capolavoro: il ritratto del Nano del Duca di Créquy, scolpito da François Duquesnoy. L’artista fiammingo, nato a Bruxelles nel 1597 e attivo a Roma fino alla morte nel 1643, fu uno dei maggiori interpreti del classicismo romano. Dopo aver collaborato con artisti come Pietro da Cortona e Nicola Poussin, Duquesnoy sviluppò uno stile personale in cui la grazia e la compostezza dell’arte antica si univano a un sottile senso di realismo. Il suo approccio, profondamente diverso da quello di Bernini e dei barocchi più drammatici, privilegiava la misura e la delicatezza, anticipando alcune tendenze del neoclassicismo.

Il busto, proveniente dalle collezioni di Palazzo Barberini, raffigura Michel Magnan, detto Micheau, personaggio singolare alla corte francese, noto come il nano del duca Charles I de Créquy, ambasciatore del re di Francia a Roma. L’opera, concepita probabilmente come dono diplomatico per il cardinale Antonio Barberini, combina il rigore dell’impianto classico con una sorprendente vivacità espressiva. Duquesnoy rappresenta Micheau con una pettinatura alla moda e un abbigliamento ricco di dettagli, ma introduce nel volto una sottile ironia, un sorriso appena accennato che ne umanizza la figura. In questa commistione tra naturalezza e idealizzazione, il ritratto supera la mera descrizione fisionomica e diventa un esercizio di equilibrio tra grazia e realtà.

Il ritratto di Michel Magnan di François Duquesnoy. Foto: Andrea Benedetti / Gallerie Nazionali di Arte Antina - Palazzo Barberini
Il ritratto di Michel Magnan di François Duquesnoy. Foto: Andrea Benedetti / Gallerie Nazionali di Arte Antina - Palazzo Barberini

Il busto del Nano del Duca di Créquy si distingue anche per l’attenzione alla psicologia del personaggio. Pur trattandosi di un soggetto marginale rispetto alla gerarchia sociale del tempo, Duquesnoy lo eleva a protagonista, restituendogli una dignità nuova, inscritta nella perfezione formale del marmo. Il risultato è un’opera di profonda modernità, capace di fondere ironia e rispetto, osservazione e idealizzazione. Questo approccio, tipico della poetica di Duquesnoy, riflette una visione umanistica dell’arte, in cui la bellezza è il frutto di una misura interiore più che di un artificio spettacolare.

L’esposizione dei due busti nella Sala Sacchi crea un dialogo inedito: da un lato, Algardi rappresenta la solennità del potere e la compostezza del ritratto ufficiale; dall’altro, Duquesnoy introduce una nota di leggerezza e umanità. Entrambi, tuttavia, condividono una tensione verso l’armonia e l’equilibrio, che li distingue nel panorama della scultura barocca romana. La loro presenza a Palazzo Barberini non è casuale: i Barberini furono tra i principali committenti e collezionisti del Seicento, promotori di un linguaggio artistico che univa splendore e intellettualità. Le loro collezioni, che oggi costituiscono il nucleo delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, riflettono quella stessa capacità di coniugare fasto e rigore, esuberanza e misura.

Il dialogo tra Algardi e Duquesnoy, riattivato da questa esposizione, offre al pubblico un’occasione per riflettere sul pluralismo del barocco romano, spesso semplificato nell’egemonia berniniana. Le due sculture mostrano come la capitale papale fosse un laboratorio di linguaggi diversi, in cui il confronto tra artisti italiani e stranieri produceva risultati di straordinaria ricchezza. Nella Roma del Seicento, la presenza di artisti come Duquesnoy contribuì a una riflessione sul rapporto tra natura e idealizzazione, tra pathos e equilibrio, anticipando il dibattito che avrebbe dominato l’estetica europea nei secoli successivi.


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