Come l'IVA al 5% sulle opere d'arte potrebbe cambiare il mercato italiano (e perché è una misura sensata)


Il taglio dell’IVA al 5% sulle opere d’arte punta a rendere l’Italia più competitiva nel mercato globale. La ratio: una misura di politica economica pensata per stimolare investimenti, trattenere gli operatori e rafforzare l’intero comparto culturale.

È raro che un provvedimento che riguardi l’arte diventi materia d’ampio dibattito pubblico, così com’è raro che riesca a farsi strada tra gli argomenti del giorno sui social: eppure, l’annuncio dell’IVA al 5% sulle opere d’arte, la misura tanto attesa e sospirata da tutti gli operatori del mercato italiano dell’arte e inserita la settimana scorsa nel decreto-legge “Disposizioni urgenti per il finanziamento di attività economiche e imprese”, ha sollevato discussioni accese, dubbi, perplessità quando non atteggiamenti d’aperta ostilità nei riguardi del governo, ritenuto responsabile d’aver introdotto una norma che tende una mano ai ricchi quando sarebbe stato più opportuno offrire una qualche forma di soccorso a tutte quelle famiglie per le quali anche un bene di prima necessità rappresenta un capitolo di spesa importante sul bilancio annuale. Certo: è del tutto comprensibile l’atteggiamento di chi critica il governo per aver abbassato l’IVA sulle opere d’arte e non, per esempio, sugli assorbenti o sui pannolini (i due articoli che vengono più spesso associati a questo provvedimento), per diversi motivi, anche se la ragione fondamentale rimane il fatto che il taglio dell’IVA sulle opere d’arte tocca un nervo molto sensibile dell’opinione pubblica, specialmente in una società che percepisce un allargamento delle disuguaglianze e ritiene che esistano priorità sociali diverse rispetto alla riduzione dell’imposta sul valore aggiunto delle opere d’arte. Ed è comprensibile perché il dibattito sul taglio dell’IVA, nei mesi passati, non ha mai travalicato i confini del nostro settore ed è maturato in una situazione di sostanziale vuoto comunicativo, dacché né gli operatori di settore né la politica sembrerebbero essersi assunti l’incarico di spiegare nel dettaglio le ragioni d’una misura che, per quanto utile, è percepita come ingiusta, iniqua, elitaria. Ma il pubblico dovrebbe essere parte legittima del dibattito e dovrebbe essere il più possibile coinvolto, per ragioni d’informazione, chiarezza, trasparenza su di una misura d’interesse pubblico che può produrre un impatto sulla vita reale (ovvero, non soltanto quella di chi acquista le opere d’arte) e può avere degli effetti benefici. Una misura, insomma, che non è stata spiegata (e tanto meno comunicata) nel migliore dei modi, e questa situazione rischia di generare percezioni distorte.

Il taglio dell’IVA sulle opere d’arte è, sostanzialmente, una misura di politica economica settoriale, mentre invece il taglio dell’IVA su certi beni di prima necessità (assorbenti, pannolini) è una misura di giustizia sociale: in poche parole, lo stesso strumento impiegato per raggiungere due obiettivi diversi: da una parte cercare di stimolare un settore economico specifico (il mercato dell’arte), dall’altra il tentativo d’alleviare un costo quotidiano e ricorrente per milioni di donne e famiglie e di promuovere equità sociale. Ne consegue che, da una parte, il rischio della perdita di gettito dovrebbe essere compensato, almeno nelle intenzioni del legislatore, dalla possibilità di aumentare il volume delle transazioni, di attrarre investimenti e quindi, potenzialmente, di avere un ritorno fiscale diretto e indiretto sul medio-lungo termine, mentre dall’altra parte il costo del provvedimento ha un impatto fiscale minore se non nullo, ma consente un ritorno simbolico e sociale alto ed è giustificato da principî di equità e diritti.

Al momento, non è ancora stata pubblicata la relazione tecnica che accompagna il decreto sul taglio dell’IVA alle opere d’arte: s’attende dunque il documento per comprendere come la Ragioneria dello Stato si è espressa su di una misura per la quale è naturale attendersi un’adeguata analisi del contesto (dimensione reale del comparto, quanto veramente oggi incide l’IVA sulle scelte di collezionisti e operatori e via dicendo), una ragionevole valutazione del costo stimato per l’erario, e un’analisi degli effetti sull’elasticità della domanda (e dunque quanto effettivamente un abbassamento dell’IVA possa generare nuove transazioni), dei ritorni indiretti (apertura di sedi italiane di gallerie straniere, maggiori vendite, grandi artisti stranieri che decidono d’affidarsi a gallerie italiane e così via), degli effetti sull’importazione e sull’esportazione. A oggi, l’unica analisi ch’è stata sempre citata a sostegno della bontà del provvedimento è il rapporto di Nomisma Arte: il valore dell’industria in Italia, promosso dall’Associazione Gruppo Apollo (un gruppo che raduna diversi operatori tra galleristi, case d’asta, collezionisti, imprese della logistica), realizzato in collaborazione con Intesa Sanpaolo, e ch’è stato distribuito con un file PDF contenente una serie di diapositive. Si potrebbe partire da qui per cercare di comprendere a fondo la ratio del provvedimento.

Modenantiquaria 2025
Modenantiquaria 2025
Modenantiquaria 2025
Modenantiquaria 2025
BIAF 2024
BIAF 2024

Le slide diffuse da Nomisma hanno un intero capitolo dedicato al regime fiscale applicato alle opere d’arte. Un capitolo che s’apre con un sondaggio tra gli operatori di settore, ai quali è stato chiesto quali sono i rischi che il mercato dell’arte italiano correrebbe se non s’adeguasse ai competitor europei dove le aliquote sono più basse (in Francia l’IVA è al 5,5%, in Belgio e nei Paesi Bassi al 6%, in Germania al 7%). I principali rischi, secondo gli operatori del settore, sono la diminuzione degli investimenti nel mercato dell’arte nazionale, l’indebolimento dell’attrattività commerciale del nostro paese nei confronti degli operatori stranieri, il trasferimento degli operatori con sede in Italia verso altri paesi con regima IVA più competitivo e la riduzione dell’indotto (artisti, restauratori, corniciai, fiere e via dicendo).

Quanto alla diminuzione degli investimenti nel mercato dell’arte nazionale, l’idea è, intanto, che l’abbattimento dell’IVA riduca il divario tra l’Italia e gli altri paesi, nel senso che l’opera d’uno stesso artista, se acquistata adesso a 10mila euro IVA esclusa a Parigi, costerà al collezionista un esborso complessivo di 10.550 euro, mentre a Milano occorrerebbe tirar fuori 12.200 euro. Superfluo ricordare che molti collezionisti non sono interessati a un preciso pezzo che si trova solo nella data galleria, ma si ritengono soddisfatti d’aver acquistato un’opera dell’artista X, e cercheranno dunque di comprarla dov’è più conveniente (ci sono molti artisti che non hanno l’esclusiva e che vengono trattati anche da gallerie diverse su paesi diversi). Allo stesso tempo, il taglio dell’IVA dovrebbe favorire la circolazione di opere e investimenti sul territorio nazionale: anche un museo, a fronte d’un’aliquota IVA più bassa, per esempio, potrebbe essere incentivato a rimpinguare le proprie collezioni. Operatori e governo s’immaginano poi che il taglio dell’IVA generi effetti a cascata sul mercato primario: se i prezzi diventano più accessibili, è possibile che i collezionisti acquistino di più, e se i collezionisti acquistano di più, le gallerie hanno più margine per investire su artisti emergenti, produzioni, mostre e cataloghi. La misura dovrebbe poi avere un certo potere attrattivo anche nei riguardi dei grandi artisti stranieri che potrebbero essere più inclini a farsi rappresentare da una galleria italiana: gli artisti affermati scelgono una galleria anche in base al suo accesso al mercato, e se una galleria italiana è in grado d’offrire un regime fiscale più competitivo, ha anche più strumenti per attirare il grande artista (meno ostacoli all’importazione, maggiore visibilità in un paese ritenuto potenzialmente strategico per via del suo regime fiscale vantaggioso, più supporto da una galleria che, col vantaggio dell’IVA ridotta, ha più margine per offrire all’artista produzioni migliori, partecipazioni alle fiere, campagne di comunicazione e strumenti assortiti). C’è poi da considerare anche un risvolto importante, ovvero verrà abbattuta al 5% anche l’IVA sulle importazioni (che adesso è al 10%): risulteranno dunque molto più competitive, per esempio, quelle gallerie che importano opere dagli Stati Uniti.

Quanto all’attrattività commerciale, la scommessa del settore e, naturalmente, del governo, è che l’Italia diventi più competitiva come piazza per il mercato artistico, stimolando gli operatori ad aprire sedi in Italia, come del resto hanno fatto già di recente diverse gallerie, l’ultima delle quali in ordine cronologico è l’austriaca Thaddaeus Ropac, una delle più importanti a livello europeo, che ha deciso d’investire in Italia aprendo una sede a Milano: la misura nasce per fare in modo che l’esempio di Ropac e di altre gallerie straniere che hanno aperto in tempi recenti le loro sedi in Italia (tra la altre Richard Saltoun, Cadogan, Thomas Dane) venga seguito il più possibile.

Sul problema della delocalizzazione, il taglio dell’IVA dovrebbe funzionare all’inverso, ovvero come disincentivo: un gallerista, con un’aliquota così bassa (la più bassa d’Europa) dovrebbe avere meno motivi per aprire una sede fiscale fuori dall’Italia. Di conseguenza, la misura dovrebbe servire anche a trattenere nel nostro paese operatori che potrebbero essere intenzionati a fare le valigie verso territori che offrono sistemi più amichevoli. Si stima poi che la misura possa avere un effetto indiretto sull’indotto: più compravendite di opere d’arte significa sostanzialmente più lavoro per trasportatori, restauratori, allestitori, oltre che un incentivo per le gallerie a investire nella partecipazione alle fiere di settore, e più transazioni significa anche più risorse, per le gallerie, da investire in ricerca e nel rilancio dell’attività creativa degli artisti viventi.

Arte Fiera 2025
Arte Fiera 2025
Artissima 2024
Artissima 2024
Miart 2023
Miart 2023

Chi osserva da fuori il settore potrebbe domandarsi perché soltanto negli ultimi mesi s’è avvertita così forte l’urgenza di adeguarsi a Francia e Germania: il fatto è che l’introduzione dell’aliquota agevolata in Francia e Germania è un fatto recentissimo, e gli operatori hanno a lungo insistito affinché il governo offrisse al settore italiano una misura per ripararsi dal dumping dei nostri vicini. Francia e Germania paesi hanno abbassato le loro aliquote (rispettivamente del 5,5% e del 7%), partendo sostanzialmente da un regime di aliquota piena (tolte alcune eccezioni di cui su queste pagine abbiamo già parlato), prima di noi: le loro aliquote sono entrate in vigore a partire dal 1° gennaio del 2025. E lo hanno fatto perché, entro il 2025, i paesi dell’Unione Europea dovevano recepire una Direttiva europea sull’IVA (la 2022/542 del 5 aprile 2022) che dava facoltà, a ogni Stato membro, d’applicare aliquote ridotte a una serie di categorie (fino a un massimo di 24 su 29) previste dalla normativa. Francia e Germania hanno deciso di riservare aliquote ridotte anche alle opere d’arte, col dichiarato obiettivo di rendersi più attraenti per il mercato internazionale e di favorire il commercio dell’arte, come dichiarato all’epoca dai rispettivi ministri della cultura. E l’Italia non ha voluto rimanere indietro. L’ha dichiarato esplicitamente anche il ministro Alessandro Giuli: “Con questa decisione il governo pone fine a un’anomalia che ci rendeva meno attrattivi rispetto ad altri paesi europei, dove già esistono regimi fiscali agevolati. Da oggi possiamo tornare a competere ad armi pari, offrendo nuove opportunità a galleristi, antiquari, artisti, restauratori, trasportatori e studiosi. È un provvedimento che valorizza l’intero ecosistema dell’arte, uno dei presìdi più vitali della nostra identità culturale”.

Non è dunque una discussione ch’è partita di punto in bianco: gli operatori italiani, semplicemente, fanno da più d’un anno pressione sul governo proprio perché ritenevano che, senza un adeguato correttivo, l’Italia, che già brilla meno rispetto a Francia e Germania come piazza del mercato internazionale, sarebbe stata definitivamente offuscata. Gli operatori stimano infatti che il mancato adeguamento potrebbe avere conseguenze serie, e in particolare che possa determinare contrazioni importanti del loro fatturato. Le slide di Nomisma snocciolano alcuni numeri, ottenuti essenzialmente dai sondaggi fatti dagli operatori di settore: viene stimata una riduzione complessiva del fatturato del 40% sul totale del settore, che avrà però un impatto maggiore sulle gallerie piccole (per le quali si stima una perdita del 50% del fatturato), meno invece sulle medie (-42%), e sulle grandi (-30%). La stima di Nomisma sembrerebbe dunque smentire quello che appare, agli occhi dei non addetti ai lavori, come il lato forse più fastidioso della riforma dell’IVA sulle opere d’arte, ovvero l’apparente regalia ai ricchi compratori: se Nomisma stima una contrazione così importante del fatturato delle gallerie che trattano arte contemporanea, evidentemente è perché si ritiene che chi acquista arte contemporanea lo faccia già dove è più conveniente farlo.

Più contenute invece le riduzioni per il settore dell’antiquariato (-7% il totale, -10% gli antiquari medi, -5% gli antiquari piccoli), per il semplice fatto che il mercato dell’antiquariato ha caratteristiche che lo rendono meno fluido rispetto a quello dell’arte contemporanea: gli antiquari vendono pezzi unici mentre diversi galleristi possono vendere pezzi simili dello stesso artista, un artista contemporaneo può decidere d’abbandonare una galleria italiana per farsi rappresentare da una galleria straniera portandosi dietro i collezionisti, mentre un antiquario specializzato in un certo genere o in un certo artista difficilmente lo abbandona, e così via. Naturalmente, anche il settore dell’antiquariato non è del tutto esente dai rischi in cui corrono i galleristi contemporanei: lo stesso rapporto Nomisma, del resto, rende il lettore perfettamente edotto d’un comportamento piuttosto tipico del collezionista, ovvero che “a parità di qualità dell’opera, i clienti tenderanno ad acquistare nel paese in cui il prezzo complessivo è inferiore”. Nomisma stima poi effetti a catena su tutto il resto del comparto: perdita di posti di lavoro (stimata in un -12%, con perdita di quasi 600 addetti), riduzione della filiera locale, perdita dell’IVA sulle importazioni e dell’IVA a debito (quindi Nomisma ritiene che l’eventuale immobilità dell’Italia avrebbe comportato un’ulteriore contrazione del gettito, derivante dal fatto che le gallerie che vedono perdere quote di mercato pagheranno anche meno tasse).

Quanto dovrebbe costare la manovra alle casse dell’erario? I numeri appaiono discordanti. Sempre in attesa di conoscere la relazione tecnica del decreto-legge, si può ancora fare riferimento al rapporto Nomisma, che stima il costo annuale della manovra (in termini di minor IVA sulle transazioni) tra i 15 milioni di euro nell’ipotesi di una reazione del mercato, e tra i 20 e i 26 milioni di euro ipotizzando invece transazioni a parità di fatturato rispetto al 2023. Tuttavia, c’è anche una stima decisamente più alta: secondo la proposta di legge presentata nel 2024 dai deputati Alessandro Amorese e Saverio Congedo di Fdi, che di loro iniziativa avevano cominciato a lavorare a un primo progetto legislativo per il taglio dell’IVA, il costo della riduzione al 5% ammonterebbe a 90 milioni di euro. Per dare un termine di paragone, la riduzione dell’IVA su assorbenti e pannolini dal 10 al 5% avrebbe, secondo una recente proposta di legge d’iniziativa popolare, un costo di 180 milioni di euro all’anno. Rendere gratuiti tutti i musei statali, sempre per offrire un altro riscontro, costerebbe, coi numeri del 2024, quasi 400 milioni di euro all’anno di mancati introiti. Il taglio dell’IVA al 5% è dunque una misura che costa relativamente poco per le casse dell’erario, almeno stando alle stime disponibili, e potrebbe avere come effetto il rilancio del settore. Inoltre, secondo Nomisma, ci sarebbe da considerare l’effetto moltiplicatore che, sebbene calcolato in maniera non proprio chiara, è stimato in 2,8 (vale a dire che se gallerie, antiquari e case d’asta fatturano un miliardo di euro, l’impatto economico complessivo su comparti attivati da quello del mercato dell’arte è di circa 2,8 miliardi di euro). Nomisma stima che il taglio dell’IVA consentirebbe al fatturato di gallerie, antiquari e case d’asta di crescere fino a 1,5 miliardi di euro nel 2027, con un effetto sull’economia italiana stimato in 4,2 miliardi di euro.

La misura che introduce l’IVA al 5% sulle opere d’arte non risolverà, certo, i problemi strutturali del mercato italiano (gli incentivi fiscali per chi investe in arte minori rispetto a quelli di altri paesi europei, la burocrazia complessa per l’importazione e l’esportazione di opere d’arte, il sistema della notifica per il quale gli operatori del settore chiedono da tempo una revisione, la scarsa propensione alla ricerca e al sostegno degli artisti, specialmente quelli giovani, la poca internazionalizzazione, le poche committenze pubbliche per l’arte contemporanea, la mancanza di una solida rete di fondazioni, aziende e privati attivi sul mercato, la scarsa cultura dell’investimento in arte e così via), ma è una misura dal costo ridotto e che potrebbe configurarsi come un primo passo per rendere l’Italia una piazza importante del mercato internazionale dell’arte.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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