Dal 21 novembre 2025 al 4 maggio 2026 il Museum of Modern Art di Varsavia aprirà le porte a The Woman Question: 1550–2025, una mostra a cura della storica dell’arte e curatrice Alison M. Gingeras. Articolata in otto sezioni, l’esposizione mira a decostruire il mito della marginalità femminile nella storia dell’arte, offrendo una narrazione visiva ampia e stratificata. L’iniziativa, che rappresenta il momento conclusivo del primo anno di attività della nuova sede del museo in Marszałkowska 103, propone un percorso che spazia dalla pittura rinascimentale fino alla produzione contemporanea.
Al centro della mostra c’è l’intento di riconsiderare i canoni storici e critici che per secoli hanno ridotto la presenza artistica femminile a un’eccezione. The Woman Question: 1550–2025 si propone come una mappa articolata della creatività delle donne, affrontando le condizioni di marginalizzazione, l’esclusione dalle istituzioni accademiche e la necessità di affermare un’identità professionale autonoma in contesti ostili. La mostra rivendica una rilettura storica capace di ridare voce e visibilità a figure rimaste a lungo ignorate.
“Questa mostra prende in prestito questa espressione per inquadrare oltre cinque secoli di produzione culturale di artiste donne. The Woman Question: 1550–2025 riunisce opere di oltre 130 artiste, suddivise in otto capitoli tematici”, spiega la curatrice Gingeras. “Dalle rappresentazioni allegoriche della forza femminile alle rappresentazioni della maternità, della guerra, del misticismo e dell’autorappresentazione, la mostra afferma che le donne hanno costantemente affermato il loro ruolo di creatrici, attiviste e visionarie. The Woman Question mette in luce il dialogo vitale e continuo tra genere, potere e azione artistica”.
Il titolo della mostra richiama un’espressione nata nell’Europa moderna: “la questione femminile”. Prima che emergessero le istanze del femminismo contemporaneo, filosofi e pensatrici come Christine de Pizan avevano già iniziato a mettere in discussione il ruolo subordinato delle donne nella società. Su questo sfondo, la mostra si articola in otto capitoli tematici che evidenziano i molteplici modi in cui le artiste hanno elaborato la propria presenza nel panorama culturale.
La prima sezione, Femmes Fortes: Allegories and Agency, esplora l’iconografia delle donne forti sviluppatasi nel XVII secolo. Figure emblematiche come Giuditta, Cleopatra e Lucrezia sono al centro di rappresentazioni eroiche firmate da artiste come Artemisia Gentileschi, Angelika Kauffmann ed Elisabetta Sirani. In dialogo con queste opere, interventi di artiste moderne e contemporanee come Lubaina Himid, Chiara Fumai, Betty Tompkins, Miriam Cahn, Cindy Sherman e Yoko Ono propongono nuove interpretazioni in chiave femminista.
Il secondo capitolo, Palettes & Power: The Self-Portrait as Manifesto, si concentra sull’autoritratto con tavolozza, un genere usato dalle artiste per affermare la propria identità professionale. Da Sofonisba Anguissola a Élisabeth Vigée Le Brun, da Lavinia Fontana a Lisa Brice e Somaya Critchlow, le opere selezionate testimoniano un uso consapevole dell’autoritratto come strumento di legittimazione.
Education and the Canon, terza sezione, prende il nome da un saggio di Germaine Greer e affronta le barriere strutturali che hanno ostacolato l’accesso delle donne alla formazione artistica. L’esclusione da accademie, corsi di disegno dal vero e reti professionali ha avuto un impatto duraturo. Le opere di Marie Bashkirtseff, Claudette Johnson, Faith Ringgold, Guerrilla Girls e Art Project Revolution riflettono su queste dinamiche e sull’urgenza di riscrivere i canoni della storia dell’arte.
Con A Muse of Her Own, la mostra evidenzia come, grazie all’ampliamento dell’accesso alle accademie nel XIX secolo, le artiste abbiano iniziato a esplorare la propria identità al di là del ritratto con tavolozza. I lavori di Marie-Nicole Vestier, Fahrelnissa Zeid, Lotte Laserstein, Sonia Boyce, Françoise Gilot, Yvonne Wells, Anita Rée e Celia Paul affrontano tematiche legate all’individualità, alla maternità, all’identità culturale e all’immagine della nuova donna.
Il quinto capitolo, Surreal Selves, Mystical Me: Symbolism, Surrealism, and Mysticism, si concentra sulle rappresentazioni oniriche e simboliche dell’identità femminile. Artiste come Leonor Fini, Anna Güntner, Francesca Woodman, vanessa german, Małgorzata Mycek, Iiu Susiraja e Genowefa Magiera rivelano mondi interiori in cui surrealismo, misticismo e introspezione diventano strumenti di affermazione.
In No Gate, No Lock, No Bolt: Imaginaries Unleashed, il tema della libertà intellettuale viene affrontato attraverso l’immaginario erotico femminile. Il titolo riprende un celebre passaggio di Virginia Woolf e le opere esposte riflettono su desiderio, sovversione del genere ed emancipazione dallo sguardo maschile. Tra le artiste presenti: Ithell Colquhoun, Tamara de Lempicka, Ambera Wellmann, Lisa Yuskavage, Lotte Laserstein, Barbara Falander e Jordan Casteel.
Of Woman Born, ispirato all’opera di Adrienne Rich, analizza l’esperienza materna fuori dal contesto istituzionale. La maternità è rappresentata come esperienza vissuta e soggettiva nelle opere di Elisabetta Sirani, Angélique du Coudray, Paula Modersohn-Becker, Marlene Dumas, Frida Orupabo, Monica Sjöö, Catherine Opie, Clarity Haynes, Everlyn Nicodemus, Louise Bourgeois, Tracey Emin e Frida Kahlo.
Chiude il percorso Wartime Women, una sezione dedicata alla rappresentazione femminile nei contesti bellici. Con particolare attenzione alle vicende dell’Europa orientale, la galleria presenta opere relative alla Seconda guerra mondiale, alla Shoah e al conflitto in Ucraina. Tra le artiste selezionate: Ceija Stojka, Teresa Żarnower e Lesia Khomenko, che mettono in discussione la narrazione tradizionale della guerra, evidenziando il ruolo attivo delle donne come testimoni, combattenti e sopravvissute.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo illustrato, curato dalla stessa Gingeras, con saggi originali della teorica femminista Griselda Pollock, della filosofa Chiara Bottici e dei curatori Ewa Klekot e Beata Purc. Il volume include anche un’intervista con la scrittrice premio Nobel Olga Tokarczuk. Il progetto grafico è firmato dal designer svizzero Ludovic Balland.
Durante i sei mesi dell’esposizione, il museo proporrà un ampio programma pubblico: conferenze, letture, visite guidate, attività educative. Il cinema del museo, Kinomuzeum, proporrà una rassegna filmica tematica, con proiezioni, lezioni e dibattiti che approfondiranno i temi affrontati dalle artiste esposte.
In parallelo, il museo presenterà City of Women, un ciclo di tre mostre a cura di altri ricercatori e curatori. Other Tomorrows, curata da Michalina Sablik e Vera Zalutskaya, include opere di artisti digitali e migranti, concentrandosi sull’intersezionalità e sulla costruzione di nuovi strumenti di dialogo. Gutsy, a cura di Julia Bryan-Wilson, riunisce opere femministe che riflettono sul corpo sessuato e sulla fragilità delle strutture che lo regolano, con un linguaggio astratto e scultoreo. Her Heart, curata da Karolina Gembara, affronta invece il tema del diritto alla salute riproduttiva attraverso fotografie e video che raccontano l’esperienza dell’aborto.
Nel suo insieme, il progetto espositivo proposto dal Museum of Modern Art di Varsavia si configura come un intervento critico sulla storia dell’arte e sulla sua narrazione. Lungi dall’essere un’operazione celebrativa, The Woman Question: 1550–2025 si presenta come uno strumento di analisi storica, in grado di mettere in discussione le fondamenta stesse del discorso artistico occidentale.
Titolo mostra | The Woman Question: 1550–2025 | Città | Varsavia | Sede | Museum of Modern Art | Date | Dal 21/11/2025 al 04/05/2026 | Artisti | Artisti vari | Curatori | Alison M. Gingeras | Temi | Arte contemporanea, Arte antica, Arte Moderna |
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