A Kyiv, Ucraina, Pavilion 13 riapre i battenti con una nuova identità: da ex padiglione industriale dedicato all’estrazione del carbone in epoca sovietica, si trasforma ora in centro d’arte contemporanea. A inaugurare questa nuova fase è il progetto site responsive dell’artista statunitense Sam Lewitt (Los Angeles, 1981), intitolato Шубін (SHUBIN). L’intervento segna il risultato di un dialogo pluriennale tra l’artista e lo studio di architettura ФОРМА (FORMA), che ha curato la ristrutturazione dello spazio.
L’opera di Lewitt si confronta con il significato storico e simbolico dell’edificio, affrontando i legami tra risorse e rappresentazione, tra l’esibizione di un’identità industriale e la sua lenta trasformazione in testimonianza culturale. Pavilion 13, costruito per omaggiare l’industria estrattiva ucraina, viene ora trattato dall’artista sia come palcoscenico che come protagonista, in un progetto che combina segnaletica personalizzata, sculture, un lavoro video e un programma pubblico estivo co-curato da Lewitt stesso.
Il titolo Шубін (SHUBIN) rimanda a una figura mitologica della cultura mineraria dell’Ucraina orientale. Lo Shubin è uno spirito ambiguo: talvolta protettivo, talvolta ostile, a seconda delle narrazioni. Indossa una pelliccia, shuba in russo, e incarna sia l’anima del minatore che quella del proprietario delle miniere, sempre legato al destino instabile del sottosuolo. In questo contesto, il nome suggerisce anche la presenza assente dello spettatore che, con il cambiamento del panorama economico e l’integrazione dell’Ucraina nelle filiere globali delle materie prime, ha abbandonato la narrazione industriale celebrata nel padiglione. Allo stesso tempo, Shubin potrebbe indicare l’artista stesso, coinvolto in una riflessione autocritica sulle storie locali che attraversa.
L’intera installazione prende forma da un gioco di luci, naturali, artificiali, riflesse, mineralizzate, che accompagna lo spettatore all’interno del padiglione. Il percorso ha inizio già all’ingresso, con un’insegna al neon realizzata da Lewitt ispirandosi al carattere tipografico Rublena, noto per essere uno dei più utilizzati in epoca sovietica. L’effetto visivo richiama l’estetica originale dell’edificio inaugurato nel 1967, con un richiamo esplicito alla sua funzione di vetrina propagandistica. La luce diffusa dell’insegna si rifrange sulle superfici di acciaio lucido e gesso che compongono una riproduzione di una vecchia esposizione di carbone e ferro, collocata all’esterno dell’edificio fin dalla sua apertura.
All’interno, il pubblico è guidato da un video in loop proiettato su uno schermo LED di grande formato. Il filmato accompagna l’osservatore in un volo virtuale attraverso l’architettura del padiglione: si entra dalla facciata, si attraversano gli spazi interni e si ritorna all’esterno, con una sola sosta lungo il percorso. La sequenza è accompagnata da una colonna sonora stratificata, composta da una serie di voci che discutono l’intreccio materiale tra carbone, acciaio, neon e semiconduttori, ovvero i materiali che rendono possibile la produzione e la trasmissione stessa dell’immagine digitale. Lo schermo commerciale utilizzato per la proiezione diventa così parte integrante dell’installazione, problematizzando la trasparenza visiva attribuita all’architettura modernista e introducendo un nuovo tipo di luminosità interna, legata all’elaborazione tecnica dei minerali.
Con questo lavoro, Lewitt interroga le fondamenta concettuali. L’estrazione, da funzione industriale, diventa qui metafora dell’atto espositivo stesso: rendere visibile, riportare in superficie, ma anche selezionare, isolare, trasformare. Pavilion 13 è trattato come un organismo stratificato, dove ogni elemento, dai materiali costruttivi alla storia socioeconomica, viene interrogato in termini di visibilità, funzione e memoria.
Ad arricchire il progetto è un ciclo di incontri e proiezioni intitolato SHUBIN Talks, co-organizzato con la curatrice Maria Noschenko e la redattrice Katia Khimei. Il programma coinvolge artisti, studiosi, minatori e ingegneri, e affronta criticamente i temi dell’estrazione di risorse e della loro rappresentazione, in Ucraina e in altri contesti. Si tratta di un’estensione discorsiva dell’opera, che riflette la volontà di tenere aperto un processo di interpretazione collettiva e transdisciplinare. La ristrutturazione dell’edificio è stata seguita da Iryna Miroshnykova e Oleksii Petrov, partner dello studio ФОРМА e co-fondatori dell’istituzione culturale ucraina Pavilion of Culture, insieme a Sasha Andrusyk, Lizaveta German, Maria Lanko, Olga Balashova e Victor Glushchenko. La collaborazione tra architetti, curatori e artisti ha permesso di riattivare uno spazio simbolicamente complesso, restituendogli un ruolo attivo nella riflessione critica sulle trasformazioni in atto nella società ucraina contemporanea.
Sam Lewitt (Los Angeles, 1981) vive e lavora a Berlino. Ha presentato mostre personali in sedi come Miguel Abreu Gallery (New York), Galerie Buchholz (Germania), Z33 House of Contemporary Art (Belgio), Swiss Institute / Contemporary Art (New York), Kunsthalle Basel (Svizzera) e CCA Wattis Institute for Contemporary Art (San Francisco). Il suo lavoro è stato incluso in numerose esposizioni collettive internazionali, tra cui la Triennale di Arte Contemporanea e Industria di Dunkerque (Francia), il MoMA di New York, il Centre Pompidou di Parigi, la 57ª Biennale di Venezia, la Secessione di Vienna, la Kunsthall di Bergen (Norvegia), La Panacée (Francia) e la Whitney Biennial del 2012 (New York), tra le altre.
Aperto giovedì e venerdì dalle 16:00 alle 20:00
sabato e domenica dalle 12:00 alle 19:00
Per inviare il commento devi
accedere
o
registrarti.
Non preoccuparti, il tuo commento sarà salvato e ripristinato dopo
l’accesso.