L'Annunciazione di Cortona del Beato Angelico: luce divina che si riflette sulla terra


È una delle più belle annunciazioni del Beato Angelico (Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro; Vicchio, 1395 circa - Roma, 1455): l'Annunciazione di Cortona. Osservandola, si comprende la natura dell'arte del grande frate-pittore.

Quale posto occupa il Beato Angelico nello sviluppo dell’arte italiana? Se lo domandava Pavel Pavlovič Muratov nel 1929. Ed è una domanda alla quale tanti studiosi, in maniera più o meno esplicita, han tentato di dare una risposta, cercando di spiegare le ragioni sottese a quell’arte così devota, così religiosamente ispirata, talvolta così visionaria, tanto da essere a lungo bollata, a torto, come una specie d’ultimo bagliore tardogotico. Si potrebbe rispondere con Maurizio Calvesi: il Beato Angelico è un pittore che “aderisce ai nuovi principî rinascimentali e anzi li promuove, inserendo una visione apertamente naturalistica in una nitida struttura prospettica”, e quel residuo medievistico è “proprio nell’adesione a una visione irremovibile della Natura naturata, una natura immobile come Dio l’ha creata, esente da mobilità, trasformazioni e assimilazioni alla drammaticità e alle agitazioni turbative della sfera umana, a un soverchio razionalismo emulo di Dio o a una presuntuosa aulicità”. Ecco perché l’arte del Beato Angelico è nuova: è un’arte che guarda alla realtà, certo, ma è una realtà nella quale la divinità è ovunque presente e si rivela attraverso la luce. Un’arte fatta per pensare e non per contemplare.

Per mezzo della luce, evidenziava Giulio Carlo Argan, il Beato Angelico partiva dall’esperienza umana per consentirle di “elevarsi a comprendere l’idea suprema dell’essere”. Ed eccola, quella luce divina, che in accordo con la filosofia tomista si riflette sulla terra e veste di riflessi dorati quel capolavoro che è l’Annunciazione di Cortona. Stando a quel che sappiamo, la pala, che oggi s’ammira al Museo Diocesano della splendida cittadina toscana, fu commissionata a fra’ Giovanni da Fiesole da un mercante di tessuti, Giovanni di Cola di Cecco, ch’era membro della confraternita di San Domenico di Cortona, e detentore del giuspatronato della cappella dell’Annunziata proprio nella chiesa di San Domenico. La tavola è stata in passato ritenuta la prima delle Annunciazioni del Beato Angelico: oggi però gli orientamenti della critica tendono a non concedere il primato all’Annunciazione di Cortona, che rimane tuttavia una delle più eccelse creazioni dell’Angelico.

Beato Angelico, Annunciazione (1434-1436 circa; tempera su tavola, 175 x 180 cm; Cortona, Museo Diocesano)
Beato Angelico, Annunciazione (1434-1436 circa; tempera su tavola, 175 x 180 cm; Cortona, Museo Diocesano)

L’angelo annunciante e la Vergine annunciata stanno sotto un portico corinzio che richiama le architetture brunelleschiane e ch’è decorato, nell’arco, con un tondo recante la figura del profeta Isaia: l’angelo, con la sua veste rosa intessuta d’oro, è appena arrivato e coglie la Madonna col libro ancora aperto, appoggiato sulle ginocchia. Dietro, s’apre un ambiente dove s’intravede una tenda rossa, e le volte del portico son punteggiate di stelle: richiami all’abbigliamento della Vergine. Lei, con la chioma bionda raccolta sotto il velo, seduta su di un luminosissimo scranno coperto con un drappo in broccato dorato, decorato a cerchi divisi in otto spicchi, incrocia le mani sul seno in segno di devoto rispetto nei riguardi del messaggero divino. È seria, e lo è perché è consapevole di ciò che l’attende. Così, comincia a ricamare con l’arcangelo il dialogo del Vangelo di Luca, reso dal frate pittore con lettere d’oro ch’escono dalle loro bocche: “Spiritus sanctus superveniet in te”, dice l’arcangelo. Lo Spirito santo scenderà su di te. “Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum”, risponde la Vergine. Ecco l’ancella del Signore, avvenga su di me quello che annuncia la tua parola. “Virtus Altissimi obumbrabit tibi”, replica infine l’angelo. La virtù dell’Altissimo stenderà la sua ombra su di te.

Le novità rinascimentali son da cogliere specialmente nel porticato di marmo, scorciato in prospettiva obliqua, fino a guidare l’occhio dell’osservatore verso le figure di Adamo ed Eva nell’angolo in alto a sinistra, durante la cacciata dal Paradiso terrestre: è l’evento che sancisce l’allontanamento dell’uomo da Dio, il peccato originale che il figlio di Maria andrà a redimere. Le figure allungate dell’arcangelo Gabriele e della Vergine s’allontanano da quelle che s’osservavano nell’Annunciazione del Prado e in quella di San Giovanni Valdarno, dai volumi più solidi: quelle di Cortona sono più esili, e palesano un avvicinamento ai modi ghibertiani, aprendo una nuova fase nell’arte dell’Angelico. Le due figure, ha scritto Domenico Tumiati in una delle più belle descrizioni di questa scena, non sembrano neanche corpi umani, ma “una scena rapita a quel giardino forse che di là dal portico verdeggia: una libellula aurea tendente a un fiore ceruleo”. Tumiati notava come il rosa raro della veste dell’angelo, il rosa della gioia, fosse tratto dall’osservazione dei fiori: “il colore della rosa vinata, che è pure assunto da le altre rose, viste co’ i petali in lume dubbio”.

Non sarebbe possibile immaginare quest’Annunciazione senza i fiori, senza il loro valore simbolico: e il Beato Angelico, nel giardino che rimanda al biblico hortus conclusus, allegoria della castità di Maria, stende un rigoglioso tappeto di fioriture primaverili. Ci sono rose bianche, che alludono alla purezza della Madre di Dio. Quelle rosse, invece, rimandano al sacrificio di Cristo sulla croce. Ci sono quadrifogli che simboleggiano, appunto, la croce. Il giardino è poi chiuso sul fondo da una palma: anch’essa ci riporta al martirio di Gesù. La predella, invece, racconta le storie di Maria: ecco dunque lo Sposalizio della Vergine, la Visitazione, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio e la Dormitio. La scena della Visitazione, peraltro, s’apre su di un meraviglioso e luminoso scorcio sul lago Trasimeno, di cui s’ammira uno squarcio azzurro dal colle al quale s’aggrappa Cortona, aperto verso il borgo di Castiglione del Lago, ed è grosso modo il vero brano di paesaggio che si vede anche dal vivo dai punti più panoramici: Anna Maria Maetzke l’ha definito “una veduta sorprendentemente moderna”, un’immagine “come solo può godere, respirando a pieni polmoni, chi abbia faticosamente conquistato una vetta, come la donna che sale con le provviste in primo piano”. E come non soffermarsi sullo scorcio prospettico michelozziano della basilica dove si svolge la presentazione, o sulla delicata eleganza della scena dello sposalizio? La predella è un capolavoro dentro al capolavoro.

Tutto il resto del dipinto è poesia della luce, i cui versi declamano quel mistero che, ha scritto Georges Didi-Huberman, “si svolge rigorosamente fra queste due superfici, l’una regolare, curvilinea, celeste, l’altra irregolare e terrestre”. Il verde del prato e il bianco sporco e terroso del porticato marmoreo, che diventa quasi ocra all’interno, sono i colori della terra, ravvivati però dall’oro della divinità. E non solo dall’epifania luminosa della colomba dello Spirito santo che svolazza sopra alla Vergine. È una luce che vive negli accenti che il riguardante coglie nel seggio della Vergine, nelle aureole, nelle ali e nei decori della veste dell’arcangelo, nelle stelle delle volte, ma soprattutto è una luce tersa e delicata che irradia l’intera scena. È una luce che esalta quel mondo che il Beato Angelico voleva descrivere con piglio naturalistico, ma che riteneva convintamente creato dalla divinità. Senza soffermarsi su questa luce, sarebbe difficile comprendere la portata della sua arte.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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