Tutto Luca Signorelli in sole due sale. Com'è la mostra del cinquecentenario a Cortona


Recensione della mostra “Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia”, a cura di Tom Henry (a Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca, dal 23 giugno all’8 ottobre 2023).

Settant’anni precisi separano la prima mostra monografica moderna su Luca Signorelli, quella che si tenne nel 1953 prima a Cortona e poi a Firenze a Palazzo Strozzi, dalla più recente, ovvero quella organizzata quest’anno per il cinquecentenario della scomparsa del pittore, curata da Tom Henry e intitolata Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia. Curiosamente, le due mostre condividono la stessa sede, il Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, ma le analogie possono dirsi qui concluse. La rassegna del 1953 ebbe un carattere pionieristico, contava su di un’ottantina di opere, molte delle quali della bottega di Signorelli, e soprattutto venne dilaniata dalle fauci d’una critica per la più parte avversa, tanto che alla fine, caso d’estrema rarità per una prima monografica, la figura di Luca Signorelli ne uscì fortemente ridimensionata. Le recensioni se la presero sia con la mostra (e col presidente del comitato scientifico, Mario Salmi: allora non s’usava il termine “curatore”), sia con l’artista: Roberto Salvini scrisse che a Signorelli va imputata “un’insufficiente consapevolezza dell’essenza fantastica dell’arte, una malcerta distinzione dei limiti fra l’arte e la pratica artigiana”, e lo definiva addirittura un pittore “vissuto sempre nel chiuso della provincia”, che frequentava sì Firenze ma non al punto da assorbirne “quella cultura aperta e metropolita”, dotato d’uno spirito umanistico che però “non si tradusse in chiarezza mentale circa i diritti della fantasia”. Era, insomma, poco più che un “artigiano medioevale”. Alberto Martini, il giovanissimo allievo di Longhi, allora ventiduenne (sarebbe scomparso prematuramente a trentaquattr’anni in un incidente stradale), parlò d’un artista “tutto senso e fisicità”, i cui personaggi erano “tanti giganti in cemento armato”, costruiti con una “plastica esuberante ottenuta a mezzo di un arido chiaroscuro”. Castelnovo e Ragghianti si preoccuparono più di demolire la mostra, arrivando a domandarsi se fosse stata un’operazione opportuna. Tra i pochi a esprimere invece apprezzamento si contavano Luisa Becherucci su Rivista d’Arte (per lei, Signorelli era artista forte d’un “senso reale della vita” che “non poteva cedere nulla della sua attualità per esprimere invece l’ideale catarsi, estremo approdo dell’idealismo fiorentino”, e che “non poteva concepire l’anima senza la realtà del suo involucro corporeo”) e, su Emporium, Renzo Chiarelli, secondo il quale la mostra s’imponeva come “modello di serietà, di sobrietà e di decoro”.

È servito tempo affinché il profilo di Luca Signorelli, che navigava tra fortune critiche alterne già prima di quella mostra, si risollevasse dalle macerie del 1953. È servito tempo per precisare i contorni della sua figura, che oggi riconosciamo tra le più significative e originali del suo periodo per via della tensione, fisica ed emotiva, e dell’energico vigore delle sue figure che anticipano Michelangelo, per i suoi nudi innervati dallo studio dell’antico (lo notava già Vasari, del resto), per il suo impeto drammatico, per il mirabile talento compositivo (rilevato con convinzione da Pietro Scarpellini, secondo cui Signorelli riusciva “a vincere i presupposti scenografici con soluzioni così geniali da rivolgere l’artificio in verità e l’oratoria in poesia”), per quello “spirto pellegrino”, come lo definì Giovanni Santi, che gli consentì di far convivere il suo spiccato senso del realismo e lo studio dell’antico in dipinti in cui s’assiste a quell’“armonica fusione tra civiltà classica e cristiana” che Tiziana Biganti individuava nel ciclo della cappella di San Brizio a Orvieto, ma che si riscontra in realtà in tanti altri lavori del cortonese. Signorelli è, in sostanza, artista moderno, animato da istanze moderne, sospinto da una forza tragica ch’è tutta del suo tempo e che allaga di fragrante novità l’arte toscana di fine Quattrocento. Per aver piena contezza del portato dirompente dell’arte di Luca Signorelli son serviti studî, articoli scientifici, libri, e altre mostre: la prima ricostruzione completa della sua figura dopo la mostra del 1953 risale all’esposizione che si tenne nel 2012 tra Perugia, Orvieto e Città di Castello: curata da Fabio De Chirico, Vittoria Garibaldi, Tom Henry e Francesco Federico Mancini, radunò pressoché tutto quel che si poteva raccogliere, mettendo a confronto le opere di Signorelli con quelle degli artisti del suo tempo, esponendo anche un discreto numero di disegni (che sono invece assenti dalla mostra di quest’anno, per precisa scelta di Henry) e restituendo così una panoramica esaustiva sull’artista. Poi, nel 2019, è toccato al piccolo focus dei Musei Capitolini, che s’è concentrato sul rapporto tra Signorelli e l’antico. E si giunge infine alla mostra del 2023.

La si potrebbe considerare una mostra di rifinitura, per così dire. Una mostra che porta al pubblico meno di trenta opere, ma contando su di una densità altissima di capolavori: ci sono soltanto opere certe di Signorelli, oppure riferibili a lui con elevato margine di sicurezza, ci sono tante opere fondamentali, è coperto l’intero arco cronologico della sua carriera. Manca giusto la porzione che precede l’impegno di Signorelli per la Cappella Sistina nel 1481-1482, ma la lacuna si deve al fatto che non ci sono ancora opere giovanili che mettano tutti d’accordo (a precisare la questione nei termini dovuti è Laurence Kanter nel suo saggio in catalogo), senza contare che già la mostra del 2012 includeva una copiosa sezione sul Signorelli giovane e da allora non si son più registrate novità così sconvolgenti da richiedere una nuova disamina su di un tema complesso da studiare e da gestire. Henry ammette poi due ulteriori lacune, ovvero la già rilevata assenza di disegni e la mancanza d’un apparato documentario: anche qui è il catalogo a rimediare. La ragione principale della mostra è dunque quella di ribadire l’importanza di Signorelli: e tale importanza, scrive Henry, risiede nelle sue “grandi qualità di colorista, pittore scultoreo e iconografo altamente personale”, oltre che nel merito d’aver superato i contemporanei con la potenza travolgente degli affreschi di Orvieto e con le opere successive, che lo resero “un faro per la generazione che seguì”.

Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia
Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia
Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia
Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia
Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia
Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia
Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia
Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia
Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia
Allestimenti della mostra Signorelli 500. Maestro Luca da Cortona, pittore di luce e poesia

Il percorso di visita si sviluppa su due sale, e ne risulta dunque un allestimento decisamente compresso, anche troppo: opere negli angoli, pannelli divisorî su cui sono appese alcune opere, spazî angusti, una sola seduta (anche perché difficile immaginare punti dove collocarne altre). A discolpa degli organizzatori, il fatto che il MAEC sia un museo difficile per mostre con quantità di opere esposte simili a quella della rassegna su Signorelli, e il fatto che, nella generale assenza di eventi dedicati al pittore nell’anno del cinquecentenario (da segnalare solo il riallestimento della Sala Signorelli al vicino Museo Diocesano: la visita, ovviamente, è d’obbligo), il museo abbia voluto onorare l’artista con una mostra che magari non conterà sul miglior allestimento della storia, ma di sicuro si lascia apprezzare, segnatamente per il peso specifico del nucleo che Henry ha saputo radunare, veramente in grado d’offrire un buon sunto delle qualità di Luca Signorelli. Utile poi segnalare il raro gesto di cortesia degli organizzatori nei riguardi del pubblico: una copia dell’ottimo catalogo, edito da Skira, lasciata in libera consultazione là dove serve, ovvero davanti alle opere.

L’itinerario tra le opere di Signorelli portate al MAEC procede per ordine cronologico, con l’unica eccezione dell’Annunciazione di Volterra che viene presentata nella seconda sala per evidenti ragioni di conformazione degli spazî. Come detto, manca tutto il Signorelli prima degli affreschi della Cappella Sistina: s’inizia dunque da un’opera che giunge in prestito dalla Francia, la Madonna col Bambino, san Giovanni Battista e un santo, rara opera centinata, definitivamente assegnata nel 1999 a Signorelli dallo stesso Henry: serba tracce verrocchiesche che lasciano propendere per una sua esecuzione verso la metà degli anni Ottanta, probabilmente a Firenze. È opera di cui si sa pochissimo: ben più nota è invece la storia del Cristo in casa di Simone il fariseo (in antico parte della predella della Pala Bichi che si trovava nella chiesa di Sant’Agostino a Siena), che il pubblico del MAEC trova sulla parete opposta rispetto a quella della Madonna che apre la mostra. Al contrario della Madonna della Fondation Jacquemart-André, è opera superba, lodatissima fin dall’Ottocento, che si distingue per la varietà degli atteggiamenti, per il vitalismo dei suoi personaggi, per la vena d’inquietudine che li anima (Henry, nei due personaggi sull’estrema sinistra, giunge a vedere un’anticipazione del Pontormo).

Si torna ad ammirare le opere sulla parete opposta: la sala si conclude con tre tondi che Signorelli ha dipinto agl’inizî degli anni Novanta del Quattrocento. Torna in Italia, dopo la mostra del 2019, il tondo del Musée Jacquemart-André, il più bizzarro dei tre, soprattutto per la presenza dell’anziano sulla destra ancora non identificato con sicurezza: forse un pastore, ma più probabile che si tratti di san Girolamo, dato che presenta tutti gli attributi iconografici tipici del santo (l’aspetto emaciato, le vesti logore, la mano al petto che sembrerebbe nascondere, anche se si vede male, una pietra: il confronto più puntuale è con il san Girolamo della Pala Montefeltro di Piero della Francesca), mentre decisamente meno calzanti sono altre identificazioni (un tondo simile con la figura di un pastore, per di più anziano, sarebbe molto raro). Non ha l’aureola, così come del resto ne è privo san Giovannino, e sono comunque attestate opere di Signorelli in cui i santi si presentano privi di tale attributo (anche alla mostra: si veda il tondo Farsetti nella seconda sala). La presenza del tondo del Jacquemart-André offre la possibilità di confrontare la Madonna qui dipinta da Luca Signorelli con quella dell’Annunciazione di Volterra: è identica, dettaglio utile per comprendere i metodi di lavoro nella bottega del cortonese. E molto simile è pure la Vergine del tondo di Palazzo Pitti, quello con la Sacra Famiglia e santa Barbara, anch’essa opera dipinta verosimilmente per un committente fiorentino, mentre si discosta dagli altri due tondi, forse precedendoli cronologicamente, il tondo Corsini, tavola dei primi anni Novanta, che per gli atteggiamenti, per la sua asprezza di segno unita a brani più delicati (il volto e lo scollo della Vergine) e per la vena quasi espressionista che lo sostiene, rammenta per certi versi un capolavoro quale la Pala di Sant’Onofrio dipinta nel 1484 per il Duomo di Perugia.

Luca Signorelli, Cristo in casa di Simone il Fariseo (1488-89; olio su tavola; Dublino, National Gallery of Ireland)
Luca Signorelli, Cristo in casa di Simone il Fariseo (1488-89; olio su tavola, 26 x 90 cm; Dublino, National Gallery of Ireland)
Luca Signorelli, Madonna col Bambino tra i santi Girolamo e Bernardo (1491-1493 circa; olio su tavola, diametro 115 cm; Firenze, Galleria Corsini)
Luca Signorelli, Madonna col Bambino tra i santi Girolamo e Bernardo (1491-1493 circa; olio su tavola, diametro 115 cm; Firenze, Galleria Corsini)
Luca Signorelli, Madonna col Bambino, san Giovannino e san Girolamo (1491-1493 circa; olio su tavola, 102 x 87 cm; Parigi, Musée Jacquemart-André)
Luca Signorelli, Madonna col Bambino, san Giovannino e san Girolamo (1491-1493 circa; olio su tavola, 102 x 87 cm; Parigi, Musée Jacquemart-André)

Sorprendente la sequenza che apre la seconda sala: il visitatore trova in successione, una dopo l’altra, l’Annunciazione di Volterra, lo Stendardo di Sansepolcro sulla parete opposta e la Crocifissione di Annalena, sistemata a fianco dell’Annunciazione e posta a dialogo con lo stendardo, che sul recto presenta lo stesso soggetto iconografico (sul verso, invece, s’osserva un’intensa rappresentazione dei santi Antonio ed Eligio intenti nella lettura, e a loro volta in dialogo con la Maddalena di Orvieto che si trova più avanti nel prosieguo del percorso). La possibilità di veder le tre opere assieme è una delle novità della mostra, dacché mai prima d’ora simile confronto era stato offerto al pubblico: l’innovativa, rifulgente e seducente Annunciazione che a ogni sguardo invita a indugiare su di un nuovo dettaglio (gli sfolgoranti pavimenti marmorei, il cielo crepuscolare striato d’arancio, l’apparizione del Padreterno in una mandorla di scultorei cherubini, la novità assoluta della scultura di re Davide sopra alla Vergine, la nettissima ripartizione spaziale con l’arcangelo all’esterno e la Madonna all’interno, gli svolazzi dei veli, il libro di Maria che per lo stupore è caduto a terra ancora aperto), la Crocifissione degli Uffizi con una delle Maddalene più ammalianti di questo scorcio di Quattrocento e con le rocce quasi surrealiste alle spalle della croce, e poi il più tardo stendardo processionale di Sansepolcro, carico di tensione emotiva, con l’anacronistico ma efficace inserimento della figura di sant’Antonio abate per soddisfare una richiesta della committenza, e col dettaglio singolare del volto dipinto tra le nuvole sulla sinistra. Tre opere che, di per sé, e data anche la possibilità d’ammirarle per la prima volta assieme, valgono l’ingresso alla rassegna del MAEC. Il gusto di Signorelli per l’antico affiora poi nella Natività dal Museo di Capodimonte, coi profili scultorei e quasi monumentali dei protagonisti, e con la capanna che assume le sembianze d’un tempio classico. Accanto, è esposta la Madonna col Bambino che un tempo costituiva la pala dell’oratorio della Confraternita della Vergine Maria della Veste Nera di Montepulciano, conservata oggi al Museo Civico della città poliziana, e in mostra eccezionalmente riunita alla sua predella, che oggi invece è agli Uffizi ed è uno straordinario episodio di vivacità, ricercatezza, gusto narrativo.

Tra i meriti principali della mostra di Cortona si conta anche l’aver riunito i frammenti della Pala di Matelica, un Compianto dipinto a Cortona (e poi inviato nella città marchigiana: era destinato all’altar maggiore della chiesa di Sant’Agostino) tra il 1504 e il 1505, pagato con la ragguardevole somma di 105 fiorini (grazie alla quale l’artista poté comperarsi due case nella sua città), ceduto nel 1736 dai frati di Sant’Agostino a un cittadino di Matelica in cambio di un contributo per restaurare la chiesa, e poi smembrato tra il Sette e l’Ottocento, non sappiamo né quando di preciso né da chi. I lacerti superstiti oggi sono divisi tra diverse collezioni: due si conservano presso altrettante collezioni private, uno è alla National Gallery di Londra, i rimanenti due sono a Bologna (entrambi visibili a Palazzo d’Accursio, ma mentre la Pia donna piangente è proprietà delle Collezioni Comunali d’Arte, la Testa di Cristo è di Unicredit). Il pubblico ha dunque modo di vedere i frammenti affiancati (insieme a un pannello che mostra la possibile ricostruzione), apprezzando la qualità di un’opera che figura tra i vertici della produzione di Signorelli del primo scorcio di Cinquecento, e tenendo in considerazione che, secondo Henry, è credibile pensare che in futuro possano emergere altri frammenti, tra cui una Resurrezione attestata l’ultima volta negli anni Cinquanta presso un mercante e poi mai più ricomparsa. Accanto ai cinque frammenti, ecco poi esposto un tondo dello stesso periodo e forse dipinto per lo stesso committente della pala di Matelica, quello con la Madonna col Bambino e tre santi: originale, per un dipinto di questo genere (nonostante lo scarto qualitativo delle figure dei due santi laterali lasci supporre l’intervento di una mano diversa rispetto a quella del maestro), l’invenzione del santo al centro (con buona probabilità si tratta di san Bernardo da Chiaravalle) che viene interrotto dalla lettura dall’apparizione della Madonna col Bambino.

Sulla parete contigua, un importante prestito dal Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto, ovvero la Santa Maria Maddalena che si trovava in antico nel Duomo di Orvieto, commissionata all’artista probabilmente a seguito degli affreschi della cappella di San Brizio: è un dipinto che introduce alcune novità nell’arte di Signorelli, in particolare la ricchezza decorativa che s’apprezza specialmente nei ricchi panneggi. Se la Maddalena è opera d’impianto tradizionale che trova una fulgida espressività nel suo vivido decorativismo, tutta animata da sollecitudini pienamente contemporanee è la dirompente Comunione degli apostoli, capolavoro del 1512 e unico dipinto che arriva in prestito dal Museo Diocesano di Cortona. Dipinto raro per soggetto iconografico, per il quale Signorelli potrebbe aver tratto ispirazione da un’opera omologa di Giusto di Gand (la Pala del Corpus Domini, oggi alla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, e che Signorelli forse ebbe modo di vedere proprio nella città marchigiana), s’ispira per l’ambientazione al Perugino, a causa del modo di collocare le scene sotto un portico classicheggiante scorciato in profondità e aperto su di un cielo terso, come s’osserva nella Pietà dipinta per la chiesa del convento di San Giusto alle Mura a Firenze, e oggi agli Uffizi (Signorelli sceglie però, al contrario del Perugino, di decorare le colonne con eleganti grottesche, e di inserire firma e data nei capitelli delle prime due). Adolfo Venturi, nella sua monografia del 1921, colse tutta la novità della scena: “l’apparato tradizionale è fugato dal colpo d’ala che d’improvviso spezza il filo della consuetudine iconografica: la navata di un tempio aperta sul cielo biancheggiante (sfondo peruginesco), accoglie il Cristo umanissimo, il sacerdote che avanza a passo lento, distribuendo il sacro Pane ai fedeli. Due chiomate teste d’apostoli, curve ugualmente sulla spalla, formano aperte ali all’assorta figura del Dio; e con divergenza improvvisa d’ali s’aprono via nello spazio della navata le schiere degli altri apostoli, disposte in doppio ordine, con magnifica unità compositiva”. La grande modernità di Signorelli si coglie anche nel turbinio d’emozioni che anima gli apostoli, elemento d’una sensibilità che si potrebbe quasi dire leonardesca: se tra gli apostoli che stanno alla destra di Cristo il sentimento dominante è quello della pia devozione (che sfiora intonazioni tragiche, se osserviamo le loro espressioni, accentuate dalle linee nervose tipiche di Signorelli), tanto che li vediamo tutti inginocchiati in attesa di ricevere l’ostia, alla sua sinistra la torva figura di Giuda, intento a celare furtivamente la mano nel suo borsello, scatena invece, chissà quanto consapevolmente, reazioni contrastanti, sguardi preoccupati (si notino gli occhi di san Pietro), discussioni accese.

Giungono in prestito dall’High Museum di Atlanta le due tavolette con le Storie di san Nicola, altra bella novità dacché mai prima d’ora erano stati esposti in una mostra in Italia questi due frammenti, un tempo parte della predella della pala opistografa del Compianto che si trova tuttora nella chiesa di San Niccolò a Cortona, e che assieme alla pala della chiesa di San Domenico è quanto ancora rimane presente di Signorelli negli edifici di culto della città: significativo, dunque, che il ritorno delle due tavolette a Cortona avvenga in occasione della rassegna del cinquecentenario. Sono opere che denotano un’accentuazione dell’espressionismo avanti lettera di Signorelli verso gli anni della tarda maturità: lo si nota anche dalla Flagellazione, in prestito dalla Ca’ d’Oro di Venezia, esposta poco distante, opera dalla “illuminazione esagerata e persino sconcertante [...] intesa a creare un senso di drammaticità e tensione” (così Henry). E c’è molta Cortona anche nelle battute conclusive della mostra: sono parte integrante del percorso le due opere della collezione del MAEC, ovvero l’Adorazione dei pastori del 1509-1513 circa, forse non tra le migliori cose di Signorelli (tanto che la completa autografia è stata messa in dubbio, sebbene confermata da Henry e da Kanter), e il ben più interessante tondo con la Madonna col Bambino e i santi Michele, Vincenzo, Margherita da Cortona e Marco, che colpisce ogni visitatore per la stravagante e tortuosa raffigurazione del demonio sotto l’imperiosa figura di san Michele, e soprattutto per il realistico modello della città di Cortona nelle mani di san Marco, sbalorditivo per la sua originalissima precisione orografica: sarà sorprendente, per il visitatore arrivato in centro dalla frazione di Camucia, constatare la sovrapponibilità della Cortona antica con quella dei giorni nostri, che ne ha serbato volto, conformazione, edifici. La conclusione è affidata alla Presentazione al tempio di collezione privata, collocabile nelle fasi estreme della carriera di Signorelli, ch’era già stata esposta alla mostra del 2012, e ch’è da tener presente quando s’andrà a visitare il Museo Diocesano, dacché l’istituto ne conserva una versione pressoché identica. C’è infine un’appendice nell’ambiente attiguo, la Sala Ginori, dove viene presentata la pala dipinta per la chiesa della Confraternita di San Girolamo ad Arezzo (e oggi custodita sempre nel capoluogo di provincia, ma nel locale Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna), capolavoro degli ultimi anni di Signorelli, in corso di restauro: un cantiere aperto per il pubblico.

Luca Signorelli, Annunciazione (1491; olio su tavola; Volterra, Pinacoteca Civica)
Luca Signorelli, Annunciazione (1491; olio su tavola, 258 x 190 cm; Volterra, Pinacoteca Civica)
Luca Signorelli, Crocifissione con santa Maria Maddalena (1490-1498 circa; olio su tela, 247 x 165 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Luca Signorelli, Crocifissione con santa Maria Maddalena (1490-1498 circa; olio su tela, 247 x 165 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Luca Signorelli, Adorazione del Bambino (1493-1496 circa; olio su tavola, 142 x 179 cm; Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte)
Luca Signorelli, Adorazione del Bambino (1493-1496 circa; olio su tavola, 142 x 179 cm; Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte)
Luca Signorelli, Vergine col Bambino (1492-96 circa; olio su tavola; Montepulciano, Chiesa di Santa Lucia)
Luca Signorelli, Vergine col Bambino (1492-96 circa; olio su tavola, 151 x 72 cm; Montepulciano, Chiesa di Santa Lucia)
Luca Signorelli, Pia donna in pianto, frammento della pala di Matelica (1504-1505; olio su tavola, 24 x 27 cm; Bologna, Collezioni Comunali d’Arte)
Luca Signorelli, Pia donna in pianto, frammento della pala di Matelica (1504-1505; olio su tavola, 24 x 27 cm; Bologna, Collezioni Comunali d’Arte)
Luca Signorelli, Testa di Cristo, frammento della pala di Matelica (1504-1505; olio su tavola, 26 x 28 cm; Bologna, Collezioni Unicredit)
Luca Signorelli, Testa di Cristo, frammento della pala di Matelica (1504-1505; olio su tavola, 26 x 28 cm; Bologna, Collezioni Unicredit)
Luca Signorelli, Uomo su una scala, frammento della pala di Matelica (1504-1505; olio su tavola, 88,3 x 52 cm; Londra, National Gallery)
Luca Signorelli, Uomo su una scala, frammento della pala di Matelica (1504-1505; olio su tavola, 88,3 x 52 cm; Londra, National Gallery)
Luca Signorelli, Calvario, frammento della pala di Matelica (1504-1505; tempera e olio su tavola, 72,5 x 101,3 cm; Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection)
Luca Signorelli, Calvario, frammento della pala di Matelica (1504-1505; tempera e olio su tavola, 72,5 x 101,3 cm; Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection)
Luca Signorelli, Comunione degli Apostoli (1512; olio su tavola; Cortona, Museo Diocesano)
Luca Signorelli, Comunione degli Apostoli (1512; olio su tavola, 234 x 222 cm; Cortona, Museo Diocesano)
Luca Signorelli, Maria Maddalena (1504; tempera su tavola, 178 x 117 cm; Orvieto, Museo dell'Opera del Duomo)
Luca Signorelli, Maria Maddalena (1504; tempera su tavola, 178 x 117 cm; Orvieto, Museo dell’Opera del Duomo)
Luca Signorelli, Nascita di san Nicola (1508-1510 circa; olio su tavola, 25,1 x 20,3 cm; Atlanta, High Museum of Art)
Luca Signorelli, Nascita di san Nicola (1508-1510 circa; olio su tavola, 25,1 x 20,3 cm; Atlanta, High Museum of Art)
Luca Signorelli, Miracolo di san Nicola (1508-1510 circa; olio su tavola, 25,1 x 20,3 cm; Atlanta, High Museum of Art)
Luca Signorelli, Miracolo di san Nicola (1508-1510 circa; olio su tavola, 25,1 x 20,3 cm; Atlanta, High Museum of Art)
Luca Signorelli, Vergine con il Bambino, circondata da Santi (Tondo Signorelli) (1510/1515; tempera su tavola; Cortona, MAEC - Museo dell'Accademia Etrusca e della città di Cortona)
Luca Signorelli, Vergine con il Bambino, circondata da Santi (Tondo Signorelli) (1510-1515; tempera su tavola, diametro 46 cm; Cortona, MAEC - Museo dell’Accademia Etrusca e della città di Cortona)
Luca Signorelli, Adorazione dei pastori (1509-1513 circa; olio su tavola, 45,5 x 35 cm; Cortona, Museo dell'Accademia Etrusca e della Città di Cortona)
Luca Signorelli, Adorazione dei pastori (1509-1513 circa; olio su tavola, 45,5 x 35 cm; Cortona, MAEC - Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona)

Pur con una selezione oculata, come s’è visto, la mostra riesce pienamente nel doppio intento di toccare, a volo d’uccello, i principali sviluppi del linguaggio di Signorelli, e di presentare al pubblico l’originalità e le qualità di uno degli artisti più rilevanti del suo tempo, sebbene sia acquisizione relativamente recente il pieno riconoscimento delle conseguenze dell’arte di Luca Signorelli. Si può tranquillamente affermare che, come dalla delicatezza del Perugino discende la grazia di Raffaello, così dal vigore di Luca Signorelli discende la potenza di Michelangelo: tra gli affreschi della cappella di San Brizio, tra quelle scene così potenti e terribili che descrivono la fine del mondo come nessuno era mai riuscito a far prima del cortonese, s’intravede già il dramma che Michelangelo dispiegherà sulle pareti della Cappella Sistina. Si potrebbe definire Signorelli come un pittore degli opposti, adoperando un’immagine che Robert Vischer, il primo studioso a monografare il cortonese (nel 1879), usò per rilevare le contraddizioni con cui l’artista abitualmente e abilmente giocava, dimostrandosi “pio e mondano”, “oscuro e mite”, “devoto e feroce”. E ancora, si potrebbe aggiungere, sognante come gli artisti umbri e fermo come i fiorentini, disciplinato e noncurante al tempo stesso, elegiaco e drammatico, misurato e selvaggio, antico e moderno, ruvido e ritmico, confuso e audace. Per Vischer, Signorelli era “il caposcuola più ardito e ambizioso” tra i pittori che presero l’arte per mano e l’accompagnarono attraverso il “grande movimento verso il Cinquecento”.

Peccato che al pubblico non venga data facoltà di fotografare le opere. L’organizzazione riveda la sua policy, è sempre in tempo: si faccia come si fa in simili occasioni, e si mettano delle apposite icone a fianco delle opere per le quali i prestatori hanno disposto l’anacronistico divieto di scattare un’immagine da portare con sé per serbare il ricordo di una bella mostra. Non è francamente ammissibile che si vieti di fotografare tutte le opere perché, com’è stato riferito a chi scrive da un addetto alla sorveglianza, non si voleva identificare una a una le opere “proibite”, per così dire, e s’è allora deciso d’estendere l’interdizione a tutte. Sia permessa la libertà di selfie, si consentano gl’innocui autoscatti dinnanzi ai capolavori di Signorelli, non s’impedisca al pubblico di tornare a casa con una foto della Crocifissione di Annalena, dell’Annunciazione di Volterra, delle due tavolette di Atlanta, dei frammenti della Pala di Matelica messi tutti assieme: a tanti potrebbe non ricapitare l’opportunità. Ed è anche l’unica mostra che quest’anno è in programma su Signorelli, colpito da una sfortuna che il suo collega Perugino non ha avuto. Entrambi scomparsi nello stesso anno, entrambi fondamentali per gli sviluppi dell’arte del Cinquecento, ma quanto ancora è diversa la considerazione nei loro confronti, se si pensa che in Umbria pare quasi essere scoppiata una mania per Pietro Vannucci, ma non sono pervenute iniziative di rilievo per Signorelli. La mostra di Cortona diventa allora ancor più preziosa, per rammentare che Signorelli non è stato meno rilevante del suo collega umbro.

Naturale, infine, che i contenuti della mostra s’estendano fuori dalle mura del MAEC: il visitatore approfondirà, intanto, arrampicandosi tra i vicoli di Cortona, spingendosi magari fino al civico 12 di via San Marco, dove si trova la casa nella quale Signorelli passò i suoi ultimi giorni. Proprio la casa del pittore potrebbe diventare una sorta di metafora di quel ch’è accaduto alle sue opere che un tempo erano sparse per tutta Cortona: chi volesse trovarvi una qualche traccia nelle chiese della città, anticamente ornate di lavori di Luca Signorelli e della sua bottega, andrebbe in giro quasi invano, e farebbe meglio a concentrarsi sulla chiesa di San Niccolò, dove ancora è serbata la pala che Signorelli dipinse su entrambi i lati (la faccia rivolta verso i fedeli mostra un Compianto sul Cristo morto, un “capolavoro di raccolto silenzio”, come l’ha definito Stefano Casciu, malgrado la composizione piuttosto affollata). Il resto è invece raccolto tra il MAEC e il Museo Diocesano, mentre appena fuori dalle mura si visiterà la summenzionata chiesa di San Domenico per ammirare la tavola dipinta nel 1515 per la cappella che conservava le reliquie di san Biagio, e più distanti dal centro il cosiddetto Palazzone, l’antica residenza del cardinale Silvio Passerini che commissionò a Signorelli ormai avanti con gli anni alcuni affreschi (si vedono il Battesimo di Cristo e la Sibilla, tra le sue ultime opere: tradizione volle che l’artista perse la vita cadendo dall’impalcatura mentre lavorava agli affreschi per il cardinale), e la chiesa di Santa Maria delle Grazie al Calcinaio, che avrebbe dovuto accogliere una pala dell’artista, mai dipinta per la sua sopravvenuta scomparsa. Ad aiutare il visitatore nel suo viaggio a Cortona e oltre, per scoprire davvero tutto Signorelli, un’intelligente iniziativa degli organizzatori della mostra, che mettono a disposizione di tutti (tramite appositi volantini e tramite il sito web www.signorelli500.com) gl’itinerarî “In viaggio con Signorelli nelle sue terre”, che elencano tutte le opere di Signorelli presenti a Cortona, ad Arezzo e nella Valdichiana, in Valtiberina, lungo la Lauretana e in Umbria tra Perugia e Orvieto, con percorsi che spesso si possono completare in giornata. E che nell’insieme giustificano un viaggio in queste terre meravigliose.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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