Roma, alla Galleria Borghese la mostra dedicata a Rubens


Dal 14 novembre 2023 al 18 febbraio 2024, la Galleria Borghese di Roma dedica una mostra a Pieter Paul Rubens: 50 opere per ripercorrere le tappe dell’arte del grande pittore fiammingo in rapporto alla cultura italiana ed europea del periodo.

Dal 14 novembre 2023 al 18 febbraio 2024, la Galleria Borghese di Roma dedica una mostra a Pieter Paul Rubens (Siegen, 1577 – Anversa, 1640) intitolata Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato. Si tratta della seconda tappa di RUBENS! La nascita di una pittura europea, un grande progetto realizzato in collaborazione con Fondazione Palazzo Te e Palazzo Ducale di Mantova che racconta i rapporti tra la cultura italiana e l’Europa attraverso gli occhi del maestro della pittura barocca, e si inserisce anche in una più ampia ricerca della Galleria dedicata ai momenti in cui Roma è stata, all’inizio del Seicento, una città cosmopolita. La rassegna conta oltre 50 opere provenienti da istituti come il British Museum, il Louvre, il Met, la Morgan Library, la National Gallery di Londra, la National Gallery di Washington, il Prado, il Rijksmusem di Amsterdam.

Scopo della rassegna è sottolineare il contributo straordinario di Rubens, alle soglie del Barocco, a una nuova concezione dell’antico e dei concetti di naturale e di imitazione, mettendo a fuoco la novità dirompente del suo stile e come lo studio dei modelli costituisca un’ulteriore possibilità per un nuovo mondo di immagini. Per questo la mostra tiene conto non solo delle opere italiane che documentano lo studio appassionato e libero dagli esempi antichi, ma anche della sua capacità di rileggere esempi rinascimentali e confrontarsi con i contemporanei, approfondendo aspetti e generi nuovi.

“Calamita per gli artisti del Nord Europa fin dal Cinquecento, la Roma di Rubens, fra i pontificati Aldobrandini e Borghese, è il luogo dove studiare ancora l’antico, di cui si cominciano a conoscere i capolavori della pittura, con il ritrovamento nel 1601 delle Nozze Aldobrandini”, sottolinea Francesca Cappelletti, Direttrice della Galleria Borghese e curatrice della mostra. “È il momento della Galleria Farnese di Annibale Carracci e della cappella Contarelli di Caravaggio, di cui si stordisce una generazione. Attraverso gli occhi di un giovane pittore straniero come Peter Paul Rubens guardiamo ancora una volta all’esperienza dell’altrove, cerchiamo di ricostruire il ruolo del collezionismo, e della collezione Borghese in particolare, come motore del nuovo linguaggio del naturalismo europeo, che unisce le ricerche di pittori e scultori nei primi decenni del secolo”.

Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra

Nel corso del Seicento Peter Paul Rubens viene considerato dai contemporanei, come l’erudito francese Claude Fabri de Peiresc e altri letterati della République de Lettres, uno dei più grandi conoscitori di antichità romane: nulla sembra sfuggire alla sua capacità di osservazione e al suo desiderio di interpretare gli antichi maestri, e i suoi disegni rendono vibranti le opere che studia, aggiungendo movimento e sentimento ai gesti e alle espressioni. Rubens mette in atto nelle storie quel processo di vivificazione del soggetto che utilizza nel ritratto. In questo modo marmi, rilievi ed esempi celebri di pittura rinascimentale escono ravvivati dal suo pennello, come anche le vestigia del mondo antico. Un caso esemplare è quello della famosa statua dello Spinario che Rubens disegna, a sanguigna, e poi con carboncino rosso, riprendendo la posa da due punti di vista diversi. In questo modo il disegno sembra eseguito da un modello vivente invece che da una statua, tanto da far immaginare ad alcuni studiosi che il pittore abbia utilizzato un ragazzo atteggiato come la scultura. Questo processo di animazione dell’antico, per quanto eseguito nel primo decennio del secolo, sembra anticipare le mosse di artisti che, nei decenni successivi al suo passaggio romano, verranno definiti barocchi.

Come le intuizioni formali e iconografiche di Rubens filtrino nel ricco e variegato mondo romano degli anni Venti del Seicento è un problema che non è stato ancora affrontato in modo sistematico dagli studi. La presenza in città di pittori e scultori che si erano formati con lui ad Anversa, come Van Dyck e Georg Petel, o che erano entrati in contatto con le sue opere nel corso della formazione, come Duquesnoy e Sandrart, garantì di certo l’accessibilità dei suoi modelli a una generazione di artisti italiani ormai abituati a confrontarsi con l’Antico alla luce dei contemporanei esempi pittorici e sulla base di un rinnovato studio della Natura. Tra tutti, Bernini: i suoi gruppi borghesiani, realizzati negli anni Venti, rileggono celebri statue antiche, come l’Apollo del Belvedere, per donare loro movimento e traducono in carne il marmo, come avviene nel Ratto di Proserpina.

Pieter Paul Rubens, Susanna e i vecchioni (1606-1607 circa; olio su tela, 94 x 67 cm; Roma, Galleria Borghese). Foto: M. Coen © Galleria Borghese
Pieter Paul Rubens, Susanna e i vecchioni (1606-1607 circa; olio su tela, 94 x 67 cm; Roma, Galleria Borghese). Foto: M. Coen © Galleria Borghese
Pieter Paul Rubens, Compianto su Cristo morto (1601-1602; olio su tela, 180 x 136 cm; Roma, Galleria Borghese). Foto: M. Coen © Galleria Borghese
Pieter Paul Rubens, Compianto su Cristo morto (1601-1602; olio su tela, 180 x 136 cm; Roma, Galleria Borghese). Foto: M. Coen © Galleria Borghese
Pieter Paul Rubens, Studio del Torso Belvedere (verso) (1601 circa; gesso rosso, 39,5 x 26 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)
Pieter Paul Rubens, Studio del Torso Belvedere (verso) (1601 circa; gesso rosso, 39,5 x 26 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)

“In questa sfida tra le due arti”, afferma Lucia Simonato, curatrice della mostra, “Rubens dovette apparire a Bernini come il campione di un linguaggio pittorico estremo, con cui confrontarsi: per lo studio intenso della natura e per la raffigurazione del moto e dei ‘cavalli in levade’ suggeriti dalla grafica vinciana, che sarebbero stati affrontati anche dallo scultore napoletano nei suoi marmi senili con la stessa leonardesca ‘furia del pennello’riconosciuta da Bellori al maestro di Anversa; infine anche per i suoi ritratti, dove l’effigiato cerca il dialogo con lo spettatore, proprio come accadrà nei busti di Bernini per i quali è stata coniata la felice espressione di speaking likeness”.

La mostra Il tocco di Pigmalione si pone l’obiettivo di illuminare il controverso rapporto fra i capolavori berniniani e il naturalismo rubensiano, così come lo furono altre sculture giovanili dell’artista, come la Carità vaticana nella Tomba di Urbano VIII, già giudicata dai viaggiatori europei del tardo Settecento ‘una balia fiamminga’. In questo contesto figurativo, la tempestiva circolazione di stampe, tratte da prove grafiche rubensiane, accelerò il dialogo per tutti gli anni Trenta del Seicento sollecitando operazioni editoriali come la Galleria Giustiniana, dove le statue antiche prendono ormai definitivamente vita, secondo un effetto già definito Pigmalione dalla critica.

Il percorso è suddiviso in otto sezioni. La prima, intitolata Il mito del barocco, intende introdurre un tema generale e insieme un tema specifico della mostra. Peter Paul Rubens è stato, secondo lo storico dell’arte del secolo scorso Giuliano Briganti, il ‘padre spirituale’ di quegli artisti italiani, tra cui Gian Lorenzo Bernini, che con le loro opere avevano sostenuto la maestà del pontificato di Urbano VIII (1623-1644). Coniata da poco più di due secoli per indicare l’arte di quegli anni (ma non solo), l’etichetta ‘Barocco’ sfugge ancora oggi a una definizione univoca negli studi. All’origine della nascita di un linguaggio figurativo tanto nuovo e dirompente, che avrebbe animato l’Europa per quasi centocinquant’anni fino all’arrivo della stagione neoclassica, deve essere collocato proprio Rubens. Quella di Rubens fu una rivoluzione ‘formale’ ma rappresentò anche l’avvio di una nuova codificazione iconografica di soggetti mitologici e storici, a partire da un’attenta rilettura del patrimonio rinascimentale italiano e di nuovo della statuaria antica. Rubens ha saputo donare nuova linfa vitale al mito antico, ma senza mai perdere di vista la realtà del presente in cui stava vivendo.

Pieter Paul Rubens, Agrippina e Germanico (1614 circa; olio su tavola, 66,4 x 57 cm; Washington, National Gallery of Washington)
Pieter Paul Rubens, Agrippina e Germanico (1614 circa; olio su tavola, 66,4 x 57 cm; Washington, National Gallery of Washington)
Pieter Paul Rubens, San Sebastiano curato dagli angeli (1604 circa; olio su tela, 155,5 x 119,5 cm; Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Corsini). Foto: E. Fontolan
Pieter Paul Rubens, San Sebastiano curato dagli angeli (1604 circa; olio su tela, 155,5 x 119,5 cm; Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Corsini). Foto: E. Fontolan
Pieter Paul Rubens, Cristo risorto (1616 circa; olio su tela, 183 x 155 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi, Palazzo Pitti)
Pieter Paul Rubens, Cristo risorto (1616 circa; olio su tela, 183 x 155 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi, Palazzo Pitti)

La seconda sezione, Rubens e la storia, ripercorre il rapporto tra Rubens e la storia e conduce il pubblico a Roma, dove l’artista studia appassionatamente il cosiddetto Seneca morente, una scultura in marmo bigio (oggi al Louvre, già in collezione Borghese), che si riteneva mettesse in scena il suicido del filosofo descritto da Tacito e, infine, raffigura la morte del filosofo in opere pittoriche che trasformano il marmo borghesiano in carne. Ma la storia antica non è per Rubens solo un soggetto letterario. È anche un continuo esercizio esegetico delle iconografie e degli oggetti che attestano le usanze dei romani e dei greci. Con l’erudito Nicolas-Claude Fabri de Peiresc le indaga in ricchi scambi epistolari: episodi descritti dagli storici antichi vengono trasformati da Rubens in pitture e arazzi, dove sono restituiti con accuratezza antiquaria armature, cimieri, scudi, calzari e insegne. Infine, con la sua autorità morale, la storia antica permette a Rubens anche di commentare il presente.

Nella terza sezione, Corpi drammatici, si approfondisce la grammatica del corpo umano in Rubens: studiato dal vero, indagato a partire dall’Antico e interpretato alla luce della lezione dei maestri del Rinascimento. Alcuni nomi spiccano per importanza. Innanzitutto Michelangelo: un artista già caro ai manieristi nordeuropei come Hendrick Goltzius, ben noti a Rubens prima del suo viaggio in Italia. Per l’indagine anatomica però e per il moto l’attenzione di Rubens è tutta per Leonardo, scoperto ex novo dall’artista nel corso di un breve soggiorno a Madrid (1603-1604) compiuto durante il suo viaggio di formazione in Italia. In Spagna Rubens ha probabilmente accesso ai disegni di Leonardo ancora in mano allo scultore Pompeo Leoni e li studia avidamente. Nel suo Ercole che strangola il leone nemeo del Louvre lo sforzo muscolare michelangiolesco dell’eroe è impensabile senza la lezione sulla forza di Leonardo e già prelude alle torsioni di Bernini, che saranno poi quelle della scultura barocca. S’intitola invece Corpi statuari la quarta sezione: Joachim von Sandrart, un allievo tedesco di Rubens, sottolinea nel suo trattato d’arte edito alla fine del Seicento, la Teutsche Academie, la necessità per i pittori di far emergere le figure, di dare rotondità ai loro contorni e profondità allo spazio che abitano. Per il maestro fiammingo, e per i molti artisti che ne hanno seguito l’esempio, lo studio della statuaria e dei rilievi antichi non è stato solo l’occasione per scoprire soggetti mitologici inediti, indagare le usanze dei romani e copiare muscolose anatomie umane, ma ha rappresentato innanzitutto una via per apprendere come accordare alle forme della pittura nuovo vigore statuario, per dare letteralmente corpo ai suoi protagonisti e farli risaltare come figure viventi all’interno della composizione.

C’è poi una sezione Rubens e Caravaggio, dedicata al rapporto tra i due grandi artisti. Fu Rubens infatti a insistere con Vincenzo Gonzaga perché acquistasse la controversa Morte della Vergine, oggi al Louvre, che Caravaggio aveva eseguito per Santa Maria della Scala nel 1605. Alcuni ‘intendenti’ d’arte, capaci di guardare oltre la funzione dell’opera e il suo luogo di destinazione, si accorsero della straordinaria novità del dipinto, di quella bellezza immota e della capacità di rendere nuova e presente la storia religiosa dispiegate da Caravaggio. Rubens aveva suggerito al suo mecenate non solo un quadro straordinario per la sua galleria, ma anche un gesto raro e incisivo: usare un quadro d’altare per uno spazio dedicato all’arte e non alla devozione e cambiare completamente la destinazione di un’opera ‘pubblica’. Lo stesso, quasi contemporaneamente, farà Scipione Borghese comprando dalla confraternita dei Palafrenieri la Madonna con il Bambino e sant’Anna di Caravaggio ancora oggi nella stanza che ospita questa sezione. L’interesse di Rubens per Caravaggio si misura anche in un campo d’azione più specificatamente artistico; a Roma Peter Paul non solo disegna dall’Antico e dai grandi maestri, ma anche dai contemporanei e, con particolare interesse, da Caravaggio e dalla sua Deposizione nel sepolcro, la pala d’altare per la Cappella Vittrice nella Chiesa Nuova, oggi ai Musei Vaticani, eseguita fra il 1601 e il 1602. Se Rubens poté essere tacciato di naturalismo eccessivo, pur nella sua foga inventiva, certo il realismo monumentale di cui Caravaggio è sempre stato inteso come il caposcuola appare ben diverso. I suoi quadri erano considerati “senza azione”: i contrasti luminosi inchiodavano i suoi protagonisti a un momento preciso della loro (e della nostra) esistenza.

Pieter Paul Rubens, Studio anatomico (1600 – 1605; penna e inchiostro marrone, 27,8 x 18,6 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)
Pieter Paul Rubens, Studio anatomico (1600 – 1605; penna e inchiostro marrone, 27,8 x 18,6 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)
Pieter Paul Rubens, Due studi di un ragazzo tratti dallo “Spinario” (1601- 1602; gesso rosso su carta, 26,1 x 36 cm; Londra; British Museum) © The Trustees of the British Museum
Pieter Paul Rubens, Due studi di un ragazzo tratti dallo “Spinario” (1601- 1602; gesso rosso su carta, 26,1 x 36 cm; Londra; British Museum) © The Trustees of the British Museum
Anonimo, Cavaspina (fine XVI sec.; marmo, altezza 85 cm; Roma, Galleria Borghese). Foto: M. Coen © Galleria Borghese
Anonimo, Cavaspina (fine XVI sec.; marmo, altezza 85 cm; Roma, Galleria Borghese). Foto: M. Coen © Galleria Borghese
Allestimenti della mostra
Allestimenti della mostra

La sesta sezione s’intitola La nascita della scultura pittorica. Le statue femminili di Bernini assomigliavano a ‘balie fiamminghe’ per i viaggiatori che alla fine del Settecento arrivavano a Roma dal Nord Europa, secondo i quali non c’erano dubbi che tra Rubens e lo scultore italiano corresse una qualche affinità formale. Le mani di Plutone affondate nella carne di Proserpina erano una prova di ‘fiamminghità’, secondo lo scrittore tedesco August Wilhelm von Schlegel. Nell’aver gareggiato con la pittura nei temi e nelle forme, nell’adesione al dato naturale e nell’espressività, la scultura di Bernini veniva accusata di aver oltrepassato i confini che le erano propri ed essere diventata ‘pittorica’: un’espressione che alla fine dell’Ottocento sarebbe stata innalzata a categoria della storia dell’arte dal critico Heinrich Wölfflin. Per molti aspetti all’origine stessa della definizione del Barocco, il rapporto tra Rubens e Bernini continua a restare sfuggente negli studi. Sappiamo che negli anni trenta del Seicento, mentre dimora con la seconda moglie Helena Fourment nella tenuta di Het Steen, vicino ad Anversa, il pittore non perde occasione per informarsi su quanto sta succedendo in Italia, dove Bernini ha appena innalzato il Baldacchino di San Pietro ed è l’artista di riferimento di Urbano VIII. Per Rubens l’attenzione alla scultura non è solo un problema antiquario, ma coinvolge anche lo studio di oggetti plastici diversissimi tra loro: moderni come antichi, marmorei come metallici, statuari quanto numismatici. Più complesso è capire in che modo Bernini si accosta negli anni Venti, mentre è al lavoro ai gruppi borghesiani, alle novità rubensiane. In questa sfida tra le due arti, l’artista fiammingo dovette apparire allo scultore italiano come il campione di un linguaggio pittorico estremo, con cui confrontarsi.

Si arriva quindi alla settima sezione, intitolata Il tocco di Pigmalione, dove per ‘tocco di Pigmalione’, il mitico scultore che ottiene dagli dei la vita per una sua statua di cui si era innamorato, si intende la capacità di Rubens di trasformare nei suoi disegni e nelle sue tavole l’inerte marmo antico in vibrante materia pittorica. In due fondamentali pagine latine del suo trattato frammentario Sull’imitazione delle statue, l’artista fiammingo spiega come avviene questo processo ‘transmediale’, ovvero di trasposizione di valori formali da una scultura a una pittura. Da evitare era innanzitutto l’imitazione pedissequa del modello antico, che avrebbe portato alla raffigurazione di statue dipinte, invece di soggetti ripresi dal vero. Il consiglio è messo in pratica da Rubens esemplarmente nelle sue prove grafiche, dove per tradurre il marmo in carne insiste sulle cosiddette “maccaturae”: le morbide pieghe della pelle tanto di uomini, quanto di animali (come nel collo del Toro Farnese raffigurato dall’artista a matita nera), accentuando le quali la figura appare viva e non scolpita. L’Antico da cui prende le mosse Rubens è in realtà già vitale. Si tratta di frammenti che sono stati integrati da restauri interpretativi importanti (come nel caso del Seneca morente) e talvolta anche di copie moderne che derivano dall’Antico, come lo Spinario, oggi alla Galleria Borghese: una statua tardo- cinquecentesca, più accessibile nel Seicento rispetto al celebre bronzo capitolino.

Infine ultima sezione è quella su Rubens e Tiziano: durante il suo soggiorno alla corte spagnola, fra il 1628 e il 1629, Rubens eseguì numerose copie da Tiziano, pittore che non si stancò mai di osservare, nei suoi viaggi alla scoperta dell’Italia nel primo decennio e ogni volta che riuscì ad averne l’occasione. Nella stanza dove è ospitata questa sezione, l’Amor sacro e Amor profano, capolavoro giovanile di Tiziano, e Venere che benda amore, fra gli altri quadri dell’artista, rendono immediatamente comprensibile uno dei motivi per cui la collezione di Scipione Borghese fosse intensamente visitata dagli artisti.

La mostra apre dal martedì alla domenica con orario 9-19 (ultimo ingresso ore 17:45). Chiuso tutti i lunedì. La visita dura due ore e i turni di ingresso sono ogni ora. Biglietti: intero 13 euro, ridotto 18-25 2 euro. Per info: https://galleriaborghese.beniculturali.it/

Informazioni sulla mostra

Titolo mostraIl tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma
CittàRoma
SedeGalleria Borghese
DateDal 14/11/2023 al 18/02/2024
ArtistiPieter Paul Rubens
CuratoriFrancesca Cappelletti, Lucia Simonato
TemiSeicento, Pieter Paul Rubens, Arte antica

Se ti è piaciuto questo articolo abbonati a Finestre sull'Arte.
al prezzo di 12,00 euro all'anno avrai accesso illimitato agli articoli pubblicati sul sito di Finestre sull'Arte e ci aiuterai a crescere e a mantenere la nostra informazione libera e indipendente.
ABBONATI A
FINESTRE SULL'ARTE



MAGAZINE
primo numero
NUMERO 1

SFOGLIA ONLINE

MAR-APR-MAG 2019
secondo numero
NUMERO 2

SFOGLIA ONLINE

GIU-LUG-AGO 2019
terzo numero
NUMERO 3

SFOGLIA ONLINE

SET-OTT-NOV 2019
quarto numero
NUMERO 4

SFOGLIA ONLINE

DIC-GEN-FEB 2019/2020
Finestre sull'Arte