L'eleganza del potere. Il ritratto di Eleonora di Toledo del Bronzino


Il ritratto di Eleonora di Toledo con il figlio Giovanni, capolavoro del Bronzino conservato agli Uffizi, è uno dei ritratti più famosi della storia: ritratto ufficiale, immagine del potere, testimonianza della raffinatezza della corte medicea, e molto altro.

Agli Uffizi, al centro della “Sala delle Dinastie”, spicca uno dei ritratti più celebri del Cinquecento: il Ritratto di Eleonora di Toledo con il figlio Giovanni de’ Medici, uno tra i massimi capolavori del Bronzino (Agnolo Tori; Firenze, 1503 - 1572). Eleonora, il cui nome completo era Leonor Álvarez de Toledo y Osorio, era nata nel 1522, ed era figlia di don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga e María Osorio y Pimentel: la madre era la marchesa di Villafranca del Bierzo, e il padre, marchese consorte, dal 1532 fino all’anno della sua scomparsa, il 1553, fu viceré di Napoli, capace di trasformare la città in uno dei principali centri dell’impero spagnolo. Eleonora era nota in tutta Italia, fin da ragazzina, per la sua straordinaria bellezza, di cui possiamo ben renderci conto osservando, nei suoi ritratti, il suo viso dolce e ovale, i suoi occhi castani espressivi, il suo portamento nobile. Nel 1539, Eleonora aveva sposato Cosimo I de’ Medici, che solo due anni prima era diventato duca di Firenze, e che nel 1569 sarebbe divenuto granduca di Toscana. All’epoca del matrimonio erano molto giovani: lui aveva vent’anni, lei diciassette. Vuole la leggenda che i due si conobbero e s’innamorarono subito, durante una visita ufficiale di Cosimo a Napoli. In realtà non andò così: è vero che i due si amarono sinceramente per tutta la vita (circostanza non così frequente in un’epoca in cui tra nobili vigeva l’uso del matrimonio combinato), ma le lettere scambiate tra Firenze e Napoli prima delle nozze ci dicono che i due si sposarono senza essersi mai visti. Fu tuttavia un matrimonio ben combinato, dal momento che tra Cosimo ed Eleonora nacque un sentimento vero, e che il loro amore poté portare Eleonora a generare ben undici figli.

Nel 1545, anno in cui il Bronzino, pittore di corte di Cosimo, dipinse il ritratto oggi agli Uffizi, Eleonora aveva appena ventitré anni ma aveva già dato a Cosimo cinque figli: Maria, Francesco, Isabella, Giovanni e Lucrezia. Cosimo aveva inoltre un’altra figlia, illegittima, nata prima del matrimonio con Eleonora: Bianca, detta Bia, sfortunata bambina nata da una madre di cui non conosciamo l’identità, ma che Eleonora amò come fosse figlia sua, fino alla prematura morte occorsa nel 1542, quando la bambina non aveva ancora compiuto cinque anni (di lei resta un altro meraviglioso ritratto eseguito sempre dal Bronzino ed esposto a fianco di quello di Eleonora e Giovanni agli Uffizi).

Il Bronzino era divenuto pittore di corte dei Medici per le sue straordinarie doti di ritrattista: Giorgio Vasari, nelle sue Vite, parlando dei ritratti di due nobili fiorentini, Bartolomeo Panciatichi e la moglie Lucrezia, ebbe a dire che erano “tanto naturali che paiono vivi veramente e che non manchi loro se non lo spirito”. Vasari menziona anche il ritratto di Eleonora, scrivendo che, dopo aver atteso al ritratto di Cosimo, anch’esso conservato agli Uffizi ma diffuso in diverse repliche, “non andò molto che ritrasse, sì come piacque a lei, un’altra volta la detta signora Duchessa, in vario modo dal primo, col signor don Giovanni suo figliuolo appresso”. A proporre d’identificare il ritratto degli Uffizi con quello citato da Vasari fu, nel 1949, la storica dell’arte Luisa Becherucci: prima d’allora, furono proposte varie identificazioni per il bambino raffigurato nel dipinto, mentre oggi l’idea che il figlio che accompagna Eleonora sia il secondo maschio non è più in discussione. La spontanea naturalezza del Bronzino, unita alle invidiabili qualità mimetiche che gli consentivano di riprodurre con grande fedeltà pressoché tutti i materiali e al proverbiale aspetto algido e distaccato che le sue figure assumevano, lo resero presto il più importante, ricercato e sofisticato ritrattista della Firenze medicea. Secondo Vasari, Cosimo I affidò al Bronzino l’incarico di ritrarre lui e sua moglie dopo che il pittore ebbe terminato con successo gli affreschi della cappella di Eleonora in Palazzo Vecchio, eseguiti tra il 1541 e il 1545: ecco perché, pur in assenza di documenti che certifichino con esattezza la data del ritratto degli Uffizi, si pensa al 1545 come probabile anno della sua realizzazione. Inoltre, si è conservata una lettera del 9 maggio 1545, inviata dal Bronzino a Pier Francesco Riccio, maggiordomo di Cosimo I, in cui l’artista chiede che gli venga inviata una più cospicua quantità di lapislazzuli per il fondo del dipinto: l’opera non viene direttamente citata, ma è presumibile che si stia parlando del ritratto oggi agli Uffizi. La data, infine, potrebbe essere indirettamente confermata anche dall’identità del bambino: in passato si pensò che potesse essere il primogenito Francesco, che però aveva gli occhi molto più scuri rispetto a quelli del fratello, e al contrario di lui aveva i capelli neri, e non castani. Non potrebbe essere neanche uno dei fratelli minori: non tornerebbero le caratteristiche somatiche e poi occorrerebbe pensare a un ritratto di una Eleonora con più di trentacinque anni, un’età per l’epoca piuttosto avanzata per pensare d’includere nel ritratto rimandi, come si vedrà più avanti, al tema della fertilità. Inoltre, i connotati del volto del bambino appaiono decisamente più compatibili con quelli di Giovanni: l’apparente età di due anni circa (Giovanni era nato nel 1543) permetterebbe ulteriormente di datare il dipinto al 1545. Francesco appare in realtà in un altro ritratto con la madre, quello del 1549 oggi conservato a Pisa, a Palazzo Reale.

Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Giovanni (1545; olio su tavola, 115 x 96 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Giovanni (1545; olio su tavola, 115 x 96 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Il ritratto esposto agli Uffizi
Il ritratto esposto agli Uffizi
Bronzino, Ritratto di Cosimo I in armatura (1545; olio su tavola, 71 x 57 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Bronzino, Ritratto di Cosimo I in armatura (1545; olio su tavola, 71 x 57 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Bronzino, Ritratto di Giovanni de' Medici (1545; olio su tavola, 58 x 45,4 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Bronzino, Ritratto di Giovanni de’ Medici (1545; olio su tavola, 58 x 45,4 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Bronzino, Ritratto di Francesco de' Medici (1551; olio su tavola, 38,5 x 41,5 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Bronzino, Ritratto di Francesco de’ Medici (1551; olio su tavola, 38,5 x 41,5 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Francesco (1549; olio su tavola, 114 x 95 cm; Pisa, Palazzo Reale)
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo col figlio Francesco (1549; olio su tavola, 114 x 95 cm; Pisa, Palazzo Reale)

Si tratta di un’immagine che non aveva precedenti nella ritrattistica della Firenze medicea. Eleonora viene infatti raffigurata dalle ginocchia in su, leggermente girata di tre quarti, seduta su di un cuscino di velluto rosso, appoggiata alla balaustra di una loggia aperta su di un paesaggio. La posa richiama quella del Ritratto di Isabella d’Este in nero di Tiziano conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, le cui copie probabilmente circolavano a Firenze verso il 1544-1545: il Bronzino riesce però a donare alla sua Eleonora, caratterizzata da un’espressione impassibile, un aspetto più formale e distante rispetto a quello della Isabella di Tiziano, nonostante dal suo sguarda traspaiano comunque l’amore che sempre nutrì verso i figli (e il piccolo Giovanni ricambia, abbozzando un sorriso), e la fierezza del suo carattere. Altri modelli a cui il Bronzino si ispirò furono probabilmente la Gioconda di Leonardo da Vinci e i ritratti femminili di Raffaello. Ad ogni modo, il Bronzino riuscì a produrre un’immagine che, ha scritto la studiosa Gabrielle Langdon, fu destinata a costituire un “paradigma dei ritratti europei di sovrane e reggenti per i secoli a venire: formale nella posa, abbigliata in maniera rigida ma sontuosa, distaccata nell’espressione, e in posa davanti a un vasto paesaggio”.

Eleonora è abbigliata con il celeberrimo vestito di broccato damascato, decorato con elaborati motivi neri e dorati in terciopelo, un velluto tipico della moda spagnola che veniva tessuto con due distinte trame, e che riproducono melograni per le parti in oro e motivi ad arabesco per le parti nere, anch’essi tipici della Spagna moresca. In capo porta una retina d’oro e perle, tipica della moda spagnola del tempo che la duchessa aveva introdotto a Firenze, mentre alle orecchie esibisce due orecchini con perla a goccia. Ancora, al collo indossa due collane di perle, una delle quali con un pendente con diamante e perla, e in vita reca una cintura d’oro, con gemme preziose, e terminante con una nappa di perline. Sotto alla ricca veste indossa invece una camicia di lino, che possiamo vederle spuntare all’altezza dei polsi e sul petto (vediamo il bordo ricamato, con lo stesso motivo dei polsini, sotto la rete di perle che copre le spalle di Eleonora). Anche il piccolo Giovanni indossa un lussuoso abitino di taffetà blu intessuto d’oro, e come la madre rivolge lo sguardo all’osservatore. Eleonora è colta mentre tocca la spalla di Giovanni: il gesto indica protezione nei confronti del secondogenito, scelto al posto del figlio primogenito in quanto il secondo, secondo la mentalità del tempo, ancor più del primo garantiva continuità alla dinastia, dato che era visto come una sorta di assicurazione se fosse accaduto qualcosa al primogenito. E proprio alla continuità dinastica intende alludere simbolicamente la presenza di Giovanni. Dietro la duchessa, possiamo poi osservare un paesaggio sotto un cielo scuro, quasi plumbeo, un’ambientazione notturna, nonostante Eleonora e Giovanni appaiano illuminati come se su di loro fosse proiettata la luce del giorno, che mette in risalto ogni singolo dettaglio del vestito.

Occorre, intanto, sfatare un mito a proposito di questo ritratto, e in particolare sul vestito. Nel ritratto non vediamo infatti l’abito con cui Eleonora fu sepolta, nonostante la leggenda continui a circolare: la credenza si diffuse a partire dal 1888, quando il marchese Guido Sommi Picenardi pubblicò per la prima volta il resoconto della riesumazione della salma di Eleonora di Toledo eseguita una trentina d’anni prima, nel 1857. Nel testo di Sommi Picenardi si poteva leggere che “le ricche vesti, foggiate secondo la metà del secolo XVI, e più alcune treccie di capelli di color biondo tendente al rosso, attorte da una cordicella d’oro e simili in tutto a quelli dipinti dal Bronzino nel ritratto di questa Principessa, conservato nella R. Galleria degli Uffizi, ne porsero certezza per stabilire l’identità del cadavere”. La veste veniva descritta come “non poco lacera” e “di raso bianco, lungo fino a terra e riccamente ricamata a gallone nel busto, lungo la sottana e nella balza da piè”. A lungo si ritenne che l’aggettivo “simili” adoperato da Sommi Picenardi fosse sufficiente a ritenere che l’abito trovato nel sepolcro di Eleonora fosse quello dipinto dal Bronzino: in realtà l’abito, recuperato dopo una seconda esumazione avvenuta tra il 1945 e il 1949 e conservato nei depositi del Bargello, è stato poi restaurato alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, con un intervento che ha escluso la possibilità d’identificare l’abito con quello del dipinto. È molto più verosimile che quel vestito così sontuoso sia nient’altro che un’invenzione del Bronzino: l’artista, infatti, non lavorò ritraendo la duchessa dal vero, nonostante la cura del dettaglio possa farcelo pensare. Per il volto, il Bronzino si servì probabilmente di qualche disegno schematico tracciato rapidamente, mentre per il vestito il pittore seguì un suo classico modus operandi: si faceva inviare campioni di abiti che poi utilizzava per immaginare gli abiti che finivano nei suoi dipinti. E poiché i registri medicei conservati all’Archivio di Stato di Firenze descrivono con cura gli abiti della famiglia, ma non esiste una descrizione che corrisponda all’abito indossato da Eleonora in questo dipinto, l’idea è che questa sontuosa veste sia frutto dell’originale fantasia del Bronzino.

Tiziano, Ritratto di Isabella d'Este in nero (1530-1539; olio su tela, 102 x 64 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum)
Tiziano, Ritratto di Isabella d’Este in nero (1530-1539; olio su tela, 102 x 64 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum)
Leonardo da Vinci, La Gioconda (1503-1513 circa; olio su tavola, 77 x 53 cm; Parigi, Louvre)
Leonardo da Vinci, La Gioconda (1503-1513 circa; olio su tavola, 77 x 53 cm; Parigi, Louvre)

Si trattava tuttavia, senza dubbio alcuno, di un abito che rispecchiava alla perfezione il gusto di Eleonora. Era probabilmente lei, del resto, che sceglieva i vestiti per sé, per il marito e per i numerosi figli, dando continuamente lavoro al sarto di corte, Agostino da Gubbio. E nel caso del ritratto, è indubbio che l’abito debba esprimere il suo status di moglie di un sovrano. Il tessuto, intanto: il broccato era pregiato, e riprodurlo con l’esattezza dimostrata dal Bronzino richiedeva necessariamente del tempo. Ne consegue che l’abbigliamento di Eleonora è quello che più si confà a un ritratto di Stato, e la rilevanza di questo dipinto è del resto attestata anche dalle sue numerose derivazioni, per esempio quella dipinta da Lorenzo della Sciorina in cui al posto di Giovanni compare un altro figlio, Garzia, o la replica autografa del Bronzino conservata al Detroit Institute of Arts. Alla preziosità dell’abito si aggiungono poi i simbolismi, a cominciare dalla melagrana, associata al matrimonio e alla fertilità. La seta stessa dell’abito probabilmente voleva significare, politicamente, lo stato florido dell’industria tessile fiorentina, che proprio nei primi anni del governo di Cosimo I aveva ripreso vigore. I colori dominanti rimandano invece al casato di Eleonora e a quello del marito: a prevalere sono anzitutto il blu (quello del cielo e del vestito di Giovanni) e il bianco del vestito: blu e bianco erano i colori araldici degli Álvarez de Toledo. Viceversa, l’oro (quello dei decori) e il rosso (il cuscino) sono i colori araldici dei Medici. Infine, l’alto grado d’illusionismo è mirato a suscitare stupore nell’osservatore, così come la figura distante deve ispirare nel riguardante un senso di rispetto, di deferenza.

E poi, a rendere quasi ieratica la figura di Eleonora concorrono tre elementi: l’aspetto generale del dipinto che richiama quello delle Madonne col Bambino, il fondo blu eseguito col lapislazzuli, il più costoso tra i pigmenti, di solito adoperato per dipingere il manto della Vergine nei dipinti sacri, il lieve alone di luce che scorgiamo attorno alla testa di Eleonora, quasi come se il suo capo fosse circondato da un’aureola. “L’abito di Eleonora”, scrive ancora Langdon, “afferma il suo rango e segna [...] il suo elevarsi al di sopra degli esseri umani comuni”. Eleonora non era particolarmente amata dai fiorentini, che mal tolleravano il suo atteggiamento severo, probabilmente percepito come altezzoso. In realtà il suo era un comportamento in linea con gli usi dei nobili spagnoli: difficilmente si faceva vedere in pubblico, quando usciva era sempre circondata da guardie e servitori, e in più preferiva sempre lo spagnolo all’italiano, che non parlava bene. E peraltro s’interessava molto poco di politica. Tuttavia i fiorentini sapevano benissimo che era una donna di virtù: ed ecco allora che la sua immagine deve richiamare quella della Madonna. Anche l’espediente di illuminare a giorno la figura, nonostante l’ambientazione notturna, ha forse a che fare con l’intento di presentare Eleonora come una creatura soprannaturale. Bronzino, che ha scritto anche poesie e conosceva bene l’opera di Petrarca, di sicuro avrà tenuto a mente i versi di Petrarca: “Vergine bella, che di sol vestita, / coronata di stelle, al sommo Sole / piacesti sí, che ’n te Sua luce ascose, / amor mi spinge a dir di te parole”. E a dar conto di quest’aura sacrale che circonda la figura di Eleonora concorre anche un commentatore del tempo, Antonfrancesco Cirni, che scrivendo della Reale Entrata di Cosimo ed Eleonora nel 1560 a Siena dopo la conquista della città da parte di Firenze, affermò che Eleonora “appareva più che terrena regina d’honestissima beltà, e di bellissima honestà tutta sparsa di gratia realità bontà, maestà sopr’humana vestita di velluto bianco ricamato d’oro intagliata con testa di gemme pretiose come diamanti, rubini, smiraldi con vezzi di perle, e cinta piena di gioie, con un zibellino al collo, di modo che valevano da trecento mila scudi”. Peraltro, la cifra citata da Cirni è sicuramente esagerata (per offrire un termine di paragone basterà pensare che, nel 1559, tutti gli addetti della corte di Cosimo ed Eleonora, ovvero più di trecento persone, erano costati 24.000 scudi per tutto l’anno, e gli stipendi non erano ritenuti bassi), ma dà comunque l’idea del valore che veniva attribuito agli ornamenti della duchessa.

Dettaglio del volto
Dettaglio del volto
Dettaglio del tessuto
Dettaglio del tessuto
Dettaglio di Giovanni
Dettaglio di Giovanni

Il forte portato simbolico del ritratto è inoltre veicolato dai gioielli. Si nota subito la passione di Eleonora per le perle. Benvenuto Cellini, nella sua Vita, racconta un curioso episodio (a cui naturalmente occorrerà fare tutta la tara del caso, dato che Cellini non è certo passato alla storia per esser stato un narratore affidabile): la duchessa si recò dal grande artista, autore del Perseo, per fargli valutare un filo di perle, per il quale il venditore chiedeva una cifra molto elevata. Cellini rispose dicendo che quelle perle valevano molto poco, ma Eleonora le voleva a tutti i costi e chiese a Cellini di andare da Cosimo, che avrebbe dovuto acquistarle per la moglie, e dirgli che l’acquisto valeva la pena. Contrariato, Cellini assecondò la duchessa, ma Cosimo intuì subito che ciò che gli veniva proposto non era davvero quel “bellissimo vezzo di perle, rarissimo e veramente degno di Vostra Eccellenzia illustrissima” che l’artista gli decantava, e volle sapere la verità da Cellini, perché non poteva credere che un orafo del suo calibro consigliasse di acquistare quelle perle a un prezzo così sconsiderato. Lui allora rispose dicendo che se avesse detto la verità, si sarebbe inimicato la duchessa. Cosimo capì la trama della moglie, però invece di proteggere l’artista affermò davanti a Eleonora che “il mio Benvenuto m’ha detto, che se io lo compro, che io gitterò via li mia dinari”. Alla fine, Eleonora trovò comunque il modo di procurarsi il filo di perle, e diede ordine di cacciare Cellini da palazzo ogni volta che si fosse presentato, mentre Cosimo dispose invece di accoglierlo: così, il povero orafo veniva ricevuto o allontanato a seconda di chi fosse presente in casa. Il comico episodio, oltre a testimoniare il carattere caparbio della duchessa, rivela quanto amasse le perle. E nel ritratto le indossa pressoché ovunque, anche perché erano simbolo di purezza (associate al colore bianco, e inoltre le perle preservano la loro purezza in quanto non possono essere intagliate o modificate), oltre che di castità: in antico si riteneva infatti che nascessero dalle conchiglie fecondate per intervento divino.

Eleonora porta perle sul capo, nella retina di fili dorati alla moda spagnola, e alle orecchie, con i due orecchini da cui pendono perle a goccia. Si può notare un elemento curioso: Eleonora ha le orecchie forate. Come ha spiegato la storica dell’arte Silvia Malaguzzi, fino a poco tempo prima dell’esecuzione del ritratto, i lobi forati sarebbero stati considerati disdicevoli e sconvenienti per una nobildonna. Questo gioiello per signora era infatti di recentissima introduzione: ancora nel 1525, il cronista veneziano Marin Sanudo poteva riportare nei suoi Diari che, invitato a un matrimonio dell’alta società veneta, vide tra gli invitati una “siora Marina, fia de Filippo Sanudo, mia parente, et muier de Zuane Foscari la qual se ha fato forar le recchie, et con un aneleto de oro sotil portava una perla grossa per banda”, affermando che “hera costume de le more de l’Africa et mi dispiacque assai”. Oltre a esser tipiche delle donne africane, a quel tempo le orecchie forate, spiega ancora Silvia Malaguzzi, erano associate ai marinai, che si facevano bucare i lobi per segnalare ai compagni di viaggio la loro disponibilità a un’attenzione particolare durante le navigazioni lunghe. Inoltre, nel Deuteronomio (15:12-17) si dice che se uno schiavo professa atto di amorevole sottomissione al suo padrone (“perché ama te e la tua casa e sta ben da te”), il padrone, per suggellare la dedizione del servitore, sarà tenuto a forargli simbolicamente l’orecchio. È dunque probabile che il passaggio di questa pratica alla moda femminile acquisti un ulteriore significato simbolico, quello di dedizione della moglie al marito, che equivale a una dichiarazione della donna a conservare, peraltro, il voto di castità, dal momento che la foratura del lobo era il simbolo di una promessa che andava onorata.

Scendendo, ecco le due collane di perle, una delle quali probabile regalo di nozze di Cosimo: è quella con il diamante, simbolo mediceo che allude alla forza della famiglia, essendo una pietra resistente agli urti e al fuoco. Ancora più in basso, ecco la cintura: si è pensato che potesse essere stata disegnata da Cellini, che sempre nella sua Vita scrisse che Eleonora gli “richiese che io le facesse una cintura d’oro; e anche quest’opera ricchissimamente, con gioie e con molte piacevole invenzione di mascherette e d’altro: questa se le fece”. Nella cintura raffigurata dal Bronzino non compaiono le “mascherette” di cui parla Cellini, ma il gioiello che vediamo nel dipinto è probabilmente molto simile a quello che l’artista aveva effettivamente eseguito per la duchessa. La cintura non serviva per stringere la veste, aveva solo funzione ornamentale, e qui assurge anche a un ruolo simbolico. Intanto, era tradizione che la cintura venisse allacciata dal padre della sposa il giorno del matrimonio e slacciata dal novello marito durante la prima notte di nozze: era dunque al contempo simbolo di castità preservata e simbolo coniugale. Inoltre, notiamo che è decorata con tre tipi di gemme: il diamante, il balascio (una pietra simile al rubino ma di un rosso meno intenso) e lo smeraldo, quest’ultimo lavorato a cabochon, ovvero a forma di cupola. Malaguzzi ha proposto d’identificare nei tre colori (bianco, rosso e verde) i simboli di fede, carità e speranza, e a un secondo livello di lettura quelli di nobiltà, amorevolezza e fertilità (lo smeraldo era infatti gemma cara a Venere). Infine, un ultimo accenno al tema della fertilità si desume per assenza: notiamo infatti che Eleonora, nonostante fosse sposata, non porta la fede al dito. Esiste un ritratto in cui la duchessa porta l’anello matrimoniale: è conservato alla Národní Galerie di Praga e il gioiello che osserviamo è quello in oro con diamante tagliato a tavola che le fu donato da Cosimo quando la coppia si sposò, e al quale la duchessa era affezionatissima (fu anche sepolta con quell’anello). Nel ritratto degli Uffizi, la duchessa non porta anelli perché l’accento del ritratto non è sull’amore tra lei e Cosimo: il focus su cui si concentra il Bronzino è più ampio e riguarda da un lato Eleonora e le sue virtù di castità e fertilità, che rispondono peraltro al suo motto Cum pudore laeta foecunditas, e dall’altro la dinastia tutta, ed è anche per tale ragione che s’insiste sul ruolo di Giovanni.

Le collane e le perle
Le collane e le perle
Dettaglio della cintura
Dettaglio della cintura
Dettaglio della mano
Dettaglio della mano
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo (1543; olio su tavola, 59 x 46 cm; Praga, Národní Galerie)
Bronzino, Ritratto di Eleonora di Toledo (1543; olio su tavola, 59 x 46 cm; Praga, Národní Galerie)
Artista ignoto, Cosimo I ed Eleonora di Toledo (1546; olio su tavola, 30,5 x 24 cm; Stati Uniti, Collezione privata)
Artista ignoto, Cosimo I ed Eleonora di Toledo (1546; olio su tavola, 30,5 x 24 cm; Stati Uniti, Collezione privata)

Merita infine un cenno il paesaggio, elemento fondamentale del dipinto, sia per il suo portato allegorico, sia per il suo significato politico. Vediamo un paesaggio dove abbondano fiumi: l’acqua, secondo la dottrina neoplatonica, in particolare ficiniana, ancora diffusa a Firenze all’epoca di Cosimo I, era simbolo di potenza generatrice. La terra alludeva alla femminilità, il fuoco era l’elemento fecondante, e l’aria quello che nutre la vita e la sostiene (alla vita allude la presenza di Giovanni). Il fuoco, elemento maschile, è da trovare nell’armatura di Cosimo, nel ritratto ufficiale che il duca commissionò al Bronzino poco prima di quello della moglie. Quanto al significato politico, il paesaggio è stato interpretato come quello attorno alla Villa medicea di Poggio a Caiano, la residenza fatta edificare da Lorenzo il Magnifico, dove Giovanni stesso era nato, e dove Eleonora aveva trascorso larga parte della sua gravidanza. Letto così, il paesaggio assumerebbe dunque un ulteriore risvolto legato alla continuità dinastica dei Medici, con riferimento anche al passato. Lo studioso Bruce Edelstein ha tuttavia suggerito di identificare il paesaggio in quello attorno a Pisa, dove si trovavano alcuni tra i territori più redditizi dei Medici (tanto che si conserva, in una privata collezione statunitense, un ritratto del 1546 circa, di mano ignota, in cui Cosimo ed Eleonora sono raffigurati assieme mentre consultano una mappa di Pisa). Proprio la presenza dell’acqua potrebbe alludere alle importanti operazioni di bonifica delle paludi attorno a Pisa intraprese sotto il governo di Cosimo.

Ritratto ufficiale, immagine dai tanti valori simbolici, sfoggio inequivocabile del potere mediceo, testimonianza eloquentissima del gusto della corte, il ritratto di Eleonora eseguito dal Bronzino è questo, ma non solo: “Eleonora”, ha scritto Antonio Paolucci, “è anche la donna bella, saggia, innamorata del marito e dal marito riamata, la madre tenera e affettuosa di cui parlano le cronache”. Un importante erudito del primo Seicento, Cristoforo Bronzini, autore di un’opera Della dignità e nobiltà delle donne, descriveva Eleonora come una “serenissima signora” che ebbe “l’andar grave, lo star riverendo, il parlar dolce, pieno di sapere, la faccia chiara, la vista angelica e tutte le altre bellezze che si leggono essere state nelle più celebri donne”. Qualità che al pittore non erano sfuggite: e così, nonostante quello che Paolucci chiama il “protocollare rigore del ritratto di stato”, la grandezza del Bronzino risiede anche nell’aver fatto emergere “il carattere della donna, così come emerge dalle parole del cronista contemporaneo”.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo



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