La Battaglia di Cascina: quando Michelangelo gareggiò con Leonardo da Vinci


Nel 1504, Michelangelo fu chiamato a progettare un grande affresco per il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, raffigurante la Battaglia di Cascina. Proprio là dove Leonardo da Vinci stava lavorando alla sua Battaglia di Anghiari.

Secondo un celebre aneddoto riportato da Giorgio Vasari nelle sue Vite, oggi non abbiamo più il cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo Buonarroti (Caprese, 1475 - Roma, 1564) perché sarebbe stato distrutto da Baccio Bandinelli (Bartolomeo Brandini; Firenze, 1488 - 1560), suo rivale, che lo odiava ma cercò per tutta la vita di imitare la sua arte, senza riuscirci, e che gli preferiva Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519). Stando al racconto che Vasari fornisce nell’edizione torrentiniana delle Vite (ritirato però nell’edizione giuntina), Bandinelli, nel 1512 durante gli eventi che portarono alla caduta della Repubblica fiorentina e alla restaurazione dei Medici, si sarebbe furtivamente introdotto nella Sala del Consiglio Grande (ovvero il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, dove il cartone si trovava) con il deliberato intento di fare a pezzi l’opera, riuscendoci. Sui motivi, si interrogava anche Vasari: “Frequentando più che tutti gli altri il luogo Baccio et avendone la chiave contraffatta, accadde in questo tempo che Piero Soderini fu deposto dal governo l’anno 1512 e rimessa in stato la casa de’ Medici. Nel tumulto addunque del palazzo per la rinnovazione dello stato, Baccio da sé solo segretamente stracciò il cartone in molti pezzi; di che non si sapendo la causa, alcuni dicevano che Baccio l’aveva stracciato per avere appresso di sé qualche pezzo del cartone a suo modo: alcuni giudicarono che egli volesse tòrre a’ giovani quella commodità perché non avessino a profittare e farsi noti nell’arte; alcuni dicevano che a far questo lo mosse l’affezzione di Lionardo da Vinci, al quale il cartone del Buonarroto aveva tolto molta riputazione; alcuni, forse meglio interpretando, ne davano la causa all’odio che egli portava a Michelagnolo, sì come poi fece vedere in tutta la vita sua. Fu la perdita del cartone alla città non piccola et il carico di Baccio grandissimo, il quale meritamente gli fu dato da ciascuno e d’invidioso e di maligno”.

L’azione di Bandinelli (o di chi per lui) non fu però così distruttiva da impedire di farci arrivare le copie dell’opera di Michelangelo, che si collocava nell’ambito dell’ambiziosa decorazione del Salone dei Cinquecento voluta dalla Repubblica alcuni anni prima: il gonfaloniere, Pier Soderini, intendeva infatti ornare le pareti della grande sala dove si riuniva il Maggior Consiglio di Firenze (una sorta di Parlamento composto da cinquecento cittadini, istituito in età savonaroliana e poi mantenuto anche dopo la caduta del frate ferrarese) con scene di battaglie vinte in passato da Firenze. Nell’ottobre del 1503 la Repubblica aveva affidato a Leonardo da Vinci l’incarico di dipingere la Battaglia di Anghiari (qui la storia completa dell’opera): il 24 ottobre, l’artista vinciano, tornato in patria, prendeva abitazione nella Sala del Papa in Santa Maria Novella dove avrebbe lavorato al cartone, mentre il 4 maggio del 1504 stipulava il contratto definitivo. Michelangelo veniva invece ingaggiato per la Battaglia di Cascina, che doveva essere dipinta sulla parete opposta, tra l’agosto e il settembre del 1504. Anche a Michelangelo la Repubblica fornì un alloggio: “Michelagnolo”, racconta Vasari, “ebbe una stanza nello Spedale de’ Tintori a Santo Onofrio, e quivi cominciò un grandissimo cartone: né però volse mai che altri lo vedesse”. Il giovane scultore probabilmente sentiva la rivalità con Leonardo da Vinci, ed è lo stesso Vasari a metterla su questo piano, narrando che “fu cagione che egli facesse a concorrenza di Lionardo l’altra facciata, nella quale egli prese per subietto la guerra di Pisa”. I due dipinti, come detto, avrebbero dovuto decorare la grande aula costruita per volere di Savonarola tra il 1495 e il 1496, in soli sette mesi, su progetto di Simone del Pollaiolo detto il Cronaca e Francesco di Domenico.

La battaglia assegnata a Michelangelo aveva un elevato valore simbolico: si trattava di uno scontro combattuto tra fiorentini e pisani e vinto dai primi, e nel 1504 Pisa, benché da quasi un secolo fosse stata annessa a Firenze, era una città ribelle. Nel 1494 i pisani avevano cercato di riconquistarsi la libertà approfittando della discesa in Italia di Carlo VIII: il re francese tenne però un atteggiamento ambiguo, appoggiando Pisa per non vedersi ostacolata la propria discesa verso Napoli (i pisani riuscirono dunque a estromettere dal dominio della città le autorità di Firenze), salvo poi adoperarsi per fare in modo che Pisa tornasse sotto Firenze. I pisani però continuarono la loro rivolta giungendo allo scontro con Firenze nel 1496: ne sortì una situazione di stallo, anche perché Pisa aveva ottenuto l’appoggio di alcune potenze straniere. E proprio nel 1504 i fiorentini pensarono di deviare il corso dell’Arno per indebolire Pisa: si è ipotizzato che per il progetto, la cosiddetta “rotta d’Arno”, che Firenze riteneva risolutivo per sconfiggere la città ribelle, fosse stata richiesta anche la consulenza di Leonardo da Vinci, proprio nel momento in cui l’artista era impegnato nella Battaglia di Anghiari. In realtà, non lo sappiamo per certo: il lungo dibattito sulla sua partecipazione alla “rotta d’Arno” si è però orientato su un suo probabile mancato coinvolgimento (i disegni leonardiani sulla canalizzazione dell’Arno dunque non avrebbero a che fare con questo progetto). Ad ogni modo, l’idea di deviare il corso del fiume fallì, e Firenze riuscì ad avere la meglio su Pisa nel 1509, attraverso una riconquista militare. Ma all’epoca in cui Michelangelo fu chiamato ad affrescare l’antica battaglia tra Firenze e Pisa, lo scontro era ancora aperto. Ad ogni modo, sappiamo per certo che nel 1504 Leonardo eseguì alcuni sopralluoghi nella piana di Pisa, e la situazione potrebbe averlo distolto per qualche settimana dall’incarico del Salone dei Cinquecento. E poiché i dipinti avevano intento propagandistico, andavano completati in tempi rapidi: ed è forse anche per questo motivo (oppure per la lentezza di Leonardo) che la Repubblica decise di affiancargli il giovane Michelangelo.

Il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze. Ph. Credit Targetti Sankey
Il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze. Ph. Credit Targetti Sankey

La rivalità tra Michelangelo e Leonardo da Vinci

All’epoca, Leonardo era un affermato artista di cinquantun anni, Michelangelo era invece un ventottenne che aveva già realizzato alcuni importanti capolavori, dunque aveva ben poco da dimostrare, e aveva dalla sua la giovane età, che probabilmente aumentava la sua sfrontatezza. I due artisti, del resto, non potevano essere più diversi: Leonardo era un uomo molto bello, piacevole e socievole, di origini borghesi benché figlio di una relazione illegittima, aperto al mondo, curioso e desideroso di conoscere, molto generoso. Michelangelo era l’opposto: di aspetto poco avvenente, irascibile e solitario ma sempre con la risposta pronta, proveniente da una famiglia di origini nobili ma che nei decenni era decaduta, estremamente orgoglioso e sprezzante, parsimonioso fino all’eccesso, tendenzialmente misantropo ma incline a provare sentimenti travolgenti per le persone che amava. I due ebbero modo di conoscersi poco prima dell’incarico del Salone dei Cinquecento, e a corroborare il topos del loro scontro è un aneddoto raccontato dall’Anonimo Magliabechiano (e non rintracciabile in nessun’altra fonte) in un codice conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, dove troviamo questo passo: “Et passando ditto Lionardo, insieme con G. da Gavina, da Santa Trinita dalla pancaccia delli Spini, dove era una ragunata d’huomini da bene, et dove si disputava un passo di Dante, chiamaro detto Lionardo, dicendogli che dichiarassi loro quel passo. Et a caso, a punto passò di quivi Michele Agnolo, et chiamato da un di loro, rispose Lionardo: ‘Michele Agnolo ve lo dichiarerà egli’. Di che parendo a Michele Agnolo l’havessi detto per sbeffarlo, con ira gli rispose: ‘Dichiaralo pur tu, che facesti un disegnio d’uno cavallo per gittarlo di bronzo et non lo potesti gittare, et per vergogna lo lasciasti stare’. Et detto questo, voltò loro le rene e andò via. Dove rimase Lionardo, che per le dette parole diventò rosso”. In breve, a Leonardo era stato chiesto da alcuni amici di declamare alcuni versi di Dante, e il vinciano, vedendo passare Michelangelo, disse loro di chiedere a lui: alché lo scultore, pensando che Leonardo lo stesse prendendo in giro, gli avrebbe risposto in malo modo rinfacciandogli il fiasco del monumento equestre a Francesco Sforza.

Anche Vasari fa sapere che tra i due c’era “sdegno grandissimo”, al punto da motivare, sulla base di questo dissapore, la partenza di Leonardo per la Francia nel 1516. In realtà, al di là degli aneddoti, riportati solo dai biografi (il topos degli scontri tra gli artisti comunque riempie le pagine di Vasari e degli scrittori d’arte del tempo, ragion per cui alcuni episodi potrebbero essere molto caricati), non esisono motivi documentati che potrebbero far supporre uno scontro tra i due. L’unica possibile (e documentata) ragione di un dissidio (anche se non sappiamo effettivamente come Michelangelo poté prendere la cosa) potrebbe essere la proposta che, nel 1504, Leonardo da Vinci, chiamato a far parte, assieme a tutti i grandi artisti fiorentini del tempo, della commissione che avrebbe dovuto decidere la collocazione del David del giovane rivale, avanzò per la scultura, proponendo di sistemarla contro la parete di fondo della Loggia dei Lanzi. Una posizione che avrebbe potuto essere ritenuta infelice (la statua avrebbe avuto poca visibilità), ma che era coerente con le scelte artistiche di Leonardo, come ha spiegato lo studioso Edoardo Villata: “Leonardo pare voler tradurre in pittura, in piena coerenza con quanto andava scrivendo sull’effetto di rilievo come massimo fine dell’attività pittorica, la sua proposta di porre il David contro il fondale della Loggia dei Lanzi, non con dissimile effetto visivo”.

Leonardo e Michelangelo erano sì caratterialmente molto diversi, e probabilmente neppure compatibili: ma sui loro rapporti non possiamo fare ipotesi troppo dettagliate, e poiché le biografie del tempo tendono a esagerare per fini narrativi certi aspetti delle vite degli artisti, è anche probabile che i ritratti che emergono da Vasari e dall’Anonimo Magliabechiano esagerino un’antipatia che forse non è inventata, ma che non sappiamo quanto incise sulle rispettive carriere (come invece si potrebbe intendere leggendo Vasari). Quello che però possiamo dire con certezza è che i lavori che Leonardo e Michelangelo eseguirono per il Salone dei Cinquecento, benché entrambi incompiuti (Leonardo per problemi tecnici, Michelangelo perché abbandonò il progetto), furono tenuti in altissima considerazione dai loro contemporanei, e giudicati dei capolavori straordinari: basterà ricordare di come un altro grande artista del tempo, Benvenuto Cellini, avesse scritto che i due cartoni furono “la scuola del mondo”, perché tutti gli artisti della Firenze del tempo andavano a formarsi osservandoli, come attestano del resto anche le varie copie e le riprese dalle idee leonardiane e michelangiolesche, da Raffaello al Sodoma, da Marcantonio Raimondi a Fernando Llanos, contribuendo così alla grande diffusione dei modelli dei due artisti.

Daniele da Volterra, Ritratto di Michelangelo (1544 circa; olio su tavola, 88,3 x 64,1 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)
Daniele da Volterra, Ritratto di Michelangelo (1544 circa; olio su tavola, 88,3 x 64,1 cm; New York, The Metropolitan Museum of Art)


Francesco Melzi, Ritratto di Leonardo da Vinci (1510 circa; sanguigna su carta, 275 x 190 mm; Windsor, Royal Collection)
Francesco Melzi, Ritratto di Leonardo da Vinci (1510 circa; sanguigna su carta, 275 x 190 mm; Windsor, Royal Collection)


L'aneddoto dello scontro tra Leonardo e Michelangelo riportato nel codice dell’Anonimo Magliabechiano (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Magliabechiano, XVII, 17, 121v)
L’aneddoto dello scontro tra Leonardo e Michelangelo riportato nel codice dell’Anonimo Magliabechiano (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms. Magliabechiano, XVII, 17, 121v)


Michelangelo, David (1501-1504; marmo, altezza 517 cm compresa la base; Firenze, Galleria dell’Accademia)
Michelangelo, David (1501-1504; marmo, altezza 517 cm compresa la base; Firenze, Galleria dell’Accademia)

La Battaglia di Cascina

La battaglia di Cascina venne combattuta il 28 luglio del 1364 tra Firenze e Pisa, all’epoca della guerra tra le due città toscane. I pisani erano guidati da due forti capitani di ventura, l’inglese John Hawkwood (Sible Hedingham, 1320 circa - Firenze, 1394), ovvero il “Giovanni Acuto” che a fine carriera sarebbe passato con i fiorentini, sepolto in Santa Maria del Fiore ed eternato nel ritratto equestre di Paolo Uccello, e il tedesco Hanneken von Baumgarten (? - 1375), in Italia noto come Anichino di Bongardo. Prima dello scontro di Cascina, i pisani capitanati da Hawkwood e Baumgarten avevano inflitto diverse sconfitte ai fiorentini, che decisero di riorganizzare l’esercito affidandone il comando al condottiero romagnolo Galeotto I Malatesta (Rimini, 1300 circa - Cesena, 1385), che poteva contare sull’aiuto del marchese di Soragna, Bonifacio Lupi (Soragna, 1316 - Padova, 1390), alleato dei fiorentini. Lo scontro si consumò, in piena estate, sulle rive dell’Arno in una giornata di grande caldo: stando al racconto dei cronisti, i fiorentini, fermi nei pressi di Cascina, si erano concessi un momento di riposo sulle rive dell’Arno, e molti soldati presero a bagnarsi nelle acque per ristorarsi dalla calura. Anche Malatesta decise di riposare e affidò l’organizzazione delle difese a Bonifacio Lupi e Manno Donati, che disposero sulla strada verso Pisa alcuni soldati, subito attaccati dai pisani per saggiare la resistenza dei fiorentini. Hawkwood aspettò che il sole fosse in faccia agli avversari per avere un vantaggio nello scontro, e cercò di organizzare un attacco a sorpresa, che fu però sventato dai fiorentini: l’esercito pisano, composto per lo più da soldati tedeschi e inglesi non abituati al caldo, non riuscì a sostenere lo scontro e Firenze riportò una netta vittoria, con mille caduti nell’esercito nemico e duemila prigionieri (gli stranieri rilasciati, e i pisani portati a Firenze). Michelangelo raffigurò il momento in cui i soldati fiorentini, ancora intenti a fare il bagno nell’Arno, vengono improvvisamente richiamati alla battaglia a causa del sopraggiungere del nemico.

La particolare iconografia consentì a Michelangelo di prodursi in una raffigurazione di nudi finemente studiati dal punto di vista anatomico: l’artista ha modo di sperimentare una gran varietà di pose e di atteggiamenti, tra soldati sdraiati, altri che si stanno alzando, chi fa forza sulle braccia per issarsi sulla sponda del fiume, chi alza le braccia per infilare l’armatura, chi sta già sguainando la spada, chi corre, chi si sporge, uno ancora immerso in acqua e di cui si vedono solamente le mani, un vecchio che cerca di infilarsi le calze ma riesce male nell’intento perché ha le gambe umide dopo il bagno nel fiume. Quest’ultimo particolare fu molto gradito a Vasari, che ci fornisce un’ampia descrizione dell’opera: “E lo empié di ignudi, che bagnandosi per lo caldo nel fiume d’Arno, in quello stante si dava a l’arme nel campo, fingendo che gli inimici li assalissero; e mentre che fuor delle acque uscivano per vestirsi i soldati, si vedeva dalle divine mani di Michelagnolo chi affrettare lo armarsi per dare aiuto a’ compagni, altri affibbiarsi la corazza e molti mettersi altre armi indosso, et infiniti combattendo a cavallo cominciare la zuffa. Eravi fra l’altre figure un vecchio, che aveva in testa per farsi ombra una grillanda di ellera, il quale, postosi a sedere per mettersi le calze, e non potevano entrargli per avere le gambe umide dell’acqua, e sentendo il tumulto de’ soldati e le grida et i romori de’ tamburini, affrettando tirava per forza una calza; et oltra che tutti i muscoli e nervi della figura si vedevano, faceva uno storcimento di bocca per il quale dimostrava assai quanto e’ pativa e che egli si adoperava fin alle punte de’ piedi. Eranvi tamburini ancora, e figure che, coi panni avvolti, ignudi correvano verso la baruffa; e di stravaganti attitudini si scorgeva chi ritto, chi ginocchioni, o piegato o sospeso a giacere, et in aria attaccati con iscorti difficili. V’erano ancora molte figure aggruppate et in varie maniere abbozzate, chi contornato di carbone, chi disegnato di tratti e chi sfumato e con biacca lumeggiato, volendo egli mostrare quanto sapesse in tale professione”.

L’opera ricorda un capolavoro giovanile di Michelangelo, realizzato quando l’artista aveva poco più di quindici anni, ovvero la Battaglia dei centauri oggi a Casa Buonarroti (qui un approfondimento), ed esattamente com’era stato per la Battaglia dei centauri, “il dato storico”, ha scritto lo studioso Angelo Tartuferi, “è utilizzato soprattutto per immaginare una fantastica zuffa di corpi nudi dall’anatomia stupendamente delineata, a riconfermare ancora una volta il primato del disegno che caratterizza tutta la cultura artistica fiorentina rinascimentale”. L’effetto, sicuramente voluto, ha ribadito anche Cristina Acidini, è quello di “un viluppo di corpi agitati da moti violenti, in coerenza con una ricerca spinta al limite del virtuosismo nel rilievo giovanile della Battaglia dei centauri”. Rispetto alla giovanile Battaglia dei centauri c’è però un elemento in più, ovvero proprio quella forte dimensione narrativa che motiva la sequenza dinamica “nonostante l’apparente frenesia”, come ha notato ancora Cristina Acidini: “dal primo piano, dove sono i nudi che risalgono la proda rocciosa aiutandosi l’un l’altro, ci si spinge con lo sguardo in un piano intermedio dove c’è chi si asciuga e chi si riveste, chi dà l’allarme e chi risponde, mentre verso il fondo ai nudi si alternano soldati che indossano le armi o già in assetto di battaglia e i trombetti incitano la truppa soffiando nei loro strumenti”. Un altro riferimento è dato dai nudi che popolano il fondo del Tondo Doni e che costituiscono pertanto un altro importante precedente per la Battaglia di Cascina.

L’opera di Michelangelo oggi ci è nota dalle copie tratte dal cartone: la più famosa e probabilmente più vicina all’originale, perduto, è quella eseguita attorno al 1542 da Bastiano da Sangallo (Firenze, 1481 - 1551), allievo e collaboratore di Michelangelo, oggi conservata a Holkham Hall nella collezione del conte di Leicester. Anche sul piano artistico il lavoro di Michelangelo è molto diverso da quello di Leonardo: entrambi dovevano essere affreschi di propaganda politica, ma se Leonardo risolve il tema con allegorie sofisticate, ammantando il soggetto con le proprie idee personali e senza rinunciare a colti riferimenti classici, Michelangelo punta invece su una sorta di eroismo fisico, quello dei soldati che, chiamati alla battaglia, subito escono dall’Arno e si precipitano a combattere, senza particolari sottigliezze metaforiche. Anzi: il linguaggio di Michelangelo fa uso esclusivo di corpo, muscoli, potenza. Un vigore corporeo inusitato anche per Leonardo: entrambi gli artisti avevano affrontato il tema proposto dalla Repubblica fiorentina secondo modalità innovative, ma adoperando linguaggi diversi che esercitarono un fascino notevole su tutti gli artisti che ebbero la fortuna di vedere le loro opere.

Bastiano da Sangallo, Battaglia di Cascina, copia dal cartone di Michelangelo (1542 circa; tavola, 78,7 x 129 cm; Wells-next-the-Sea, Collezione Earl of Leicester, Holkham Hall)
Bastiano da Sangallo, Battaglia di Cascina, copia dal cartone di Michelangelo (1542 circa; tavola, 78,7 x 129 cm; Wells-next-the-Sea, Collezione Earl of Leicester, Holkham Hall)


Michelangelo, Battaglia dei centauri (1490-1492 circa; marmo, 80,5 x 88 cm; Firenze, Casa Buonarroti, inv. 194)
Michelangelo, Battaglia dei centauri (1490-1492 circa; marmo, 80,5 x 88 cm; Firenze, Casa Buonarroti, inv. 194)


Michelangelo, Tondo Doni (1506-1507; tempera grassa su tavola, diametro 120 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi). Ph. Credit Finestre sull’Arte
Michelangelo, Tondo Doni (1506-1507; tempera grassa su tavola, diametro 120 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi). Ph. Credit Finestre sull’Arte

I disegni

Abbiamo perduto il cartone michelangiolesco, ma conserviamo diversi disegni e schizzi che Michelangelo eseguì per studiare la composizione. Da questi studi emergono tuttavia punti di contatto con Leonardo, al di là della scelta del soggetto (il vinciano stava per dipingere una zuffa tra soldati sulla sua parete, e Michelangelo avrebbe dipinto un’altra mischia sulla parete opposta). I fogli realizzati in preparazione della Battaglia di Cascina, ha scritto lo studioso Antonio Mazzotta, dimostrano l’“insistenza di Michelangelo nello studio del corpo umano maschile”: nei disegni per l’affresco mai realizzato, “l’artista mette in pratica un’abilità di fusione della matita nera e di chiaroscuro che rimanda alla tecnica disegnativa leonardesca”. Altri disegni rivelano invece le costruzioni tipicamente michelangiolesche, con grandi e vigorose figure contraddistinte da un contorno molto marcato, dettagliati studi anatomici, un forte chiaroscuro. Lo si apprezza, ad esempio, nel foglio 233F del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, individuato come un “foglio da lavoro” di Michelangelo da Paola Barocchi: troviamo, al suo centro, un nudo di schiena, studio preliminare per una figura della Battaglia di Cascina. Si tratta di un nudo che ricorre anche in altri fogli, conservati al British Museum e al Louvre, anche se poi l’artista ne fece a meno nel cartone finale. Un altro disegno molto famoso (forse il più noto tra gli studi per la Battaglia di Cascina) è il 73F conservato a Casa Buonarroti: è un altro nudo di schiena, colto nel momento dello slancio, e apprezzabile per la tensione muscolare che anima il corpo maschile, raffigurato con la gamba che sta per spiccare un balzo e il braccio destro levato. È forse da questi studi che meglio si apprezza anche il rapporto di Michelangelo con l’antico: diversi spunti erano tratti dalla statuaria classica, e in particolare dai sarcofagi romani che l’artista poté studiare in Toscana e a Roma.

La figura del 73F di Casa Buonarroti trova un puntuale riscontro nel foglio 613 E degli Uffizi, dove si vede uno studio per la composizione, diverso però rispetto alla redazione del cartone finale nota dalle copie: in questo schizzo prevale la confusione della mischia, il groviglio dei corpi è più fitto, le pose sembrano quasi più ardite. Alcune soluzioni sperimentate in questa prima prova saranno dunque abolite (compresa la figura colta nell’atto di slanciarsi). Ci sono però anche disegni dove vediamo le figure che poi Michelangelo utilizza nella versione finale: per esempio, l’uomo visto a torso nudo, di schiena, che brandisce una lancia, che vediamo puntualmente studiato in un disegno conservato all’Albertina di Vienna, dove apprezziamo i muscoli messi a rilievo, studiati singolarmente, evidenziati anche da lievi lumeggiature, per imprimere un ulteriore senso di forza alla figura. Pochi altri artisti sono riusciti a creare disegni così potenti.

Michelangelo, Foglio di studi per gli Apostoli, la Battaglia di Cascina, la Madonna di Bruges e un elemento architettonico (1503-1504; pietra nera naturale, sfumino, penna e inchiostro, tracce di punta di piombo su carta, 273 x 262 mm; Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, 233 F)
Michelangelo, Foglio di studi per gli Apostoli, la Battaglia di Cascina, la Madonna di Bruges e un elemento architettonico (1503-1504; pietra nera naturale, sfumino, penna e inchiostro, tracce di punta di piombo su carta, 273 x 262 mm; Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, 73 F)


Michelangelo, Nudo di schiena (1504-1505 circa; penna e tracce di matita nera, 408 x 284 mm; Firenze, Casa Buonarroti, inv. 73 F)
Michelangelo, Nudo di schiena (1504-1505 circa; penna e tracce di matita nera, 408 x 284 mm; Firenze, Casa Buonarroti, inv. 73 F)


Michelangelo, Studio di composizione per la Battaglia di Cascina (1504-1505 circa; penna e punta d'argento su carta, 235 x 356 mm; Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, 613 E)
Michelangelo, Studio di composizione per la Battaglia di Cascina (1504-1505 circa; penna e punta d’argento su carta, 235 x 356 mm; Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, 613 E)


Michelangelo, Nudo di schiena (1504-1505 circa; penna e gessetto, 196 x 270 mm; Vienna, Albertina)
Michelangelo, Nudo di schiena (1504-1505 circa; penna e gessetto, 196 x 270 mm; Vienna, Albertina)

Un capolavoro mai realizzato

Quale fu il destino della Battaglia di Cascina? Possiamo supporre che nella primavera del 1505 il cartone fosse già pronto, ma il 17 aprile del 1506 Michelangelo partì per Roma per lavorare per papa Giulio II, e non sarebbe tornato più a Firenze per i successivi dieci anni. L’affresco, pertanto, non venne mai realizzato. È però probabile che anche il lavoro preparatorio non fosse stato terminato: i biografi, tra cui Giorgio Vasari e Benedetto Varchi, fanno riferimento a composizioni che lasciano presagire uno scontro tra fiorentini e pisani, e gli stessi disegni di Michelangelo attestano figure di cavalieri in combattimento. È dunque probabile che Michelangelo abbia dipinto solo un episodio della battaglia, senza completare eventuali altre scene. Quel singolo episodio ebbe però una fortuna straordinaria che si diffuse anche grazie alle incisioni che ne furono tratte. Si è già detto di come Cellini avesse definito “scuola del mondo” i cartoni di Michelangelo e Leonardo, e Vasari attesta che si recarono a studiare l’opera di Michelangelo alcuni dei più grandi artisti del tempo: Raffaello Sanzio, Bastiano da Sangallo, Ridolfo del Ghirlandaio, Baccio Bandinelli, Francesco Granacci, Alonso Berruguete, Andrea del Sarto, il Franciabigio, Iacopo Sansovino, il Rosso Fiorentino, il Pontormo, Perin del Vaga e altri.

Sappiamo che, dopo la partenza di Michelangelo per Roma, il cartone era tenuto sotto chiave: ci sono infatti un paio di lettere che Michelangelo invia a suo fratello nel 1508 raccomandandosi di far vedere l’opera ad Alonso Berruguete. È invece del 1510 il memoriale di Francesco Albertini che attesta la presenza in Palazzo Vecchio de “li disiegni di Michelangelo”, assieme a “li cavalli” di Leonardo da Vinci. L’opera viene però rimossa da Palazzo Vecchio nel 1512, anno della restaurazione medicea: nella sede del potere non era possibile far restare un simbolo della Firenze repubblicana. Vasari racconta dunque che il cartone “fu condotto in casa Medici nella sala grande di sopra, e tal cosa fu cagione che egli troppo a securtà nelle mani degli artefici fu messo; per che nella infermità del Duca Giuliano, mentre nessuno badava a tal cosa, fu, come s’è detto altrove, stracciato et in molti pezzi diviso, tal che in molti luoghi se n’è sparto, come ne fanno fede alcuni pezzi che si veggono ancora in Mantova in casa di Messer Uberto Strozzi gentiluomo mantovano, i quali con riverenza grande son tenuti”. Secondo lo storiografo aretino, a far rimuovere il cartone da Palazzo Vecchio sarebbe stato dunque Giuliano de’ Medici, duca di Nemours (Firenze, 1479 - 1516), il cui monumento funebre sarebbe stato peraltro realizzato proprio da Michelangelo (è uno dei capolavori della Sagrestia Nuova di San Lorenzo). In un momento successivo, il cartone sarebbe stato fatto a pezzi: forse da Baccio Bandinelli, come Vasari suggerisce nell’edizione torrentiniana delle Vite (ritirando però l’informazione nell’edizione del 1568: è del resto noto che tra Vasari e Bandinelli non corresse buon sangue), forse da altri, ma sta di fatto che in un dato frangente della storia non rimasero che brandelli dell’originale cartone della Battaglia di Cascina, forse lacerato da ammiratori che volevano possedere un pezzo dell’opera di quel grande artista così tanto apprezzato dai suoi contemporanei. Vasari, del resto, scriveva che le cose che Michelangelo aveva disegnato nel cartone “a vedere e’ son più tosto cosa divina che umana”. E lo stupore dei contemporanei di fronte a quell’opera così singolare e potente si rilevano tutte, di nuovo, dalle parole dell’aretino: “Per il che gli artefici stupiti et ammirati restorono, vedendo l’estremità dell’arte in tal carta per Michelagnolo mostrata loro. Onde veduto sì divine figure, dicono alcuni che le viddero, di man sua e d’altri ancora non essere mai più veduto cosa che della divinità dell’arte nessuno altro ingegno possa arrivarla mai”.

Bibliografia essenziale

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  • Eliana Carrara, Spunti per una rilettura delle biografie leonardiane in Marco Ciatti, Cecilia Frosinini, Il restauro dell’Adorazione dei Magi di Leonardo, Edifir, 2017, p. 51-62
  • Antonio Mazzotta, 1504-1505. I tondi, il rapporto con Leonardo e la Battaglia di Cascina in Patrizio Aiello (a cura di), Michelangelo. Una vita, Officina Libraria, 2014
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  • Pina Ragionieri, Michelangelo: disegni e altri tesori dalla Casa Buonarroti, Quattroemme, 2007
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  • Pina Ragionieri (a cura di), Michelangelo tra Firenze e Roma, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Venezia, dal 10 luglio al 12 ottobre 2003), Mandragora, 2003
  • Angelo Tartuferi, Fabrizio Mancinelli, Michelangelo. Pittore, scultore, architetto, ATS, 2001
  • Luisa Morozzi, La ‘Battaglia di Cascina’ di Michelangelo: nuova ipotesi sulla data di commissione in Prospettiva, 53/56, Scritti in ricordo di Giovanni Previtali, Volume I (Aprile 1988 - Gennaio 1989), pp. 320-324
  • Pina Ragionieri, Casa Buonarroti, Mondadori Electa, 1997
  • Edoardo Villata, Il San Giovanni Battista di Leonardo. Un’ipotesi per la cronologia e la committenza in Raccolta. Vinciana, XXVII (1997), pp. 188-236


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