“Entartete Kunst”: la mostra nazista che condannava l’“arte degenerata”


Il 19 luglio 1937 apriva la mostra 'Entartete Kunst', voluta dal regime nazista per mostrare al pubblico l'arte "degenerata" contraria ai principî del regime.

19 luglio 1937. A Monaco di Baviera, presso l’Istituto di Archeologia dell’Hofgarten, si apre una mostra destinata a riempire una delle pagine più buie della storia dell’arte: il titolo è Entartete Kunst, “Arte degenerata”, ed è curata da Adolf Ziegler (Brema, 1892 - Varnhalt, 1959), un attardato e pomposo pittore accademico che il regime nazista, nel novembre del 1936, ha messo a capo della Reichskammer der Bildenden Künste (“Camera del Reich per le Arti Visive”), un istituto nato per promuovere l’arte tedesca ritenuta conforme, ma che nel periodo della mostra viene anche incaricato di ritirare dai musei tedeschi tutti i dipinti che contravvengono ai principî del regime stesso. Le linee che guidano i sequestri trovano il loro compendio più esemplificativo in un pamphlet pubblicato agli inizi del 1937: si intitola Säuberung des Kunsttempels (“Pulizia del tempio dell’arte”) e l’autore è Wolfgang Willrich (Göttingen, 1897 - 1948), pittore dilettante tanto velleitario quanto conservatore, già impiegato presso il Ministero della Cultura, e al quale vengono conferiti incarichi organizzativi per la mostra di Monaco.

Adolf Ziegler
Adolf Ziegler. Foto: Bildarchiv Preussischer Kulturbesitz
Con il suo lavoro, Willrich si impone, di fatto, come uno degli ideologi delle censure. I suoi aberranti ragionamenti si spingono al punto di vedere nella creazione artistica un modo per definire la pura razza tedesca, per il fatto che “l’arte”, leggiamo nel testo, “è migliore delle parole nel diffondere e nel far rimaner impressa” l’idea della razza che “ambisce a stabilire la nobiltà del popolo tedesco, fungendo da guida per il popolo stesso [...]. Risvegliare il desiderio, da parte del popolo tedesco, per una tale nobiltà, stabilire in modo chiaro che il bello e il sublime non sono semplicemente un privilegio di dèi nei quali non si può credere, ma sono semmai una possibilità umana, nonché il fine ultimo della rinascita... che obiettivi nobili per l’arte!”. L’arte deve, in sostanza, fornire un esempio al popolo, tale da poterlo guidare nella definizione della razza pura. Nessuno spazio, dunque, per un’arte che devii da tale fine: il successo di artisti come Nolde, Kirchner, Schmidt-Rottluff e molti altri, e la loro inclusione nell’Accademia delle Arti di Berlino, viene visto da Willrich come frutto della “corruzione dello spirito”, dello “sforzo di soddisfare l’opinione pubblica” e della “bolscevizzazione” dell’arte. Willrich, tuttavia, non è né il primo, né il più influente: molti anni prima di lui, nel 1892, Max Nordau aveva pubblicato un libro, intitolato Entartung (“Degenerazione”) che si era configurato come una delle prime opere sull’arte degenerata. Tesi di Nordau era che l’umanità stesse conoscendo, appunto, un periodo di degenerazione, d’indebolimento della morale, e che l’arte fosse tra i principali responsabili di tale degrado. La sua critica s’era concentrata per lo più sulla letteratura (venivano indicati come “degenerati” autori come Nietzsche, Ibsen, Wilde, Zola, Baudelaire, Tolstoi), ma spaziava anche nel campo delle arti visive, nel quale erano elencati, tra gli altri, Manet, Rossetti, gli impressionisti, i simbolisti.

L'intestazione del libro Säuberung des Kunsttempels di Wolfgang Willrich
L’intestazione del libro Säuberung des Kunsttempels di Wolfgang Willrich

L’idea di un “canone dell’arte degenerata” non è dunque nuova: ma negli anni Trenta è destinata ad avere un ruolo profondo sulle vicende artistiche della Germania e, di riflesso, di tutta l’Europa. Tutti gli artisti più innovativi del tempo (ma anche autori delle generazioni precedenti, molti dei quali scomparsi da anni) vengono infatti messi al bando dal regime. I nomi sono illustri: leggere le liste delle opere d’arte sequestrate (il cui unico inventario completo noto si trova ora conservato al Victoria and Albert Museum di Londra) è come ripercorrere la più grande storia dell’arte del primo Novecento. Vi troviamo gli artisti del gruppo Die Brücke (Emil Nolde, Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Otto Müller, Max Pechstein, Karl Schmidt-Rottluff tra gli altri), quelli del Blaue Reiter (Vassilij Kandinskij, Paul Klee, Franz Marc), altri espressionisti come Max Beckmann, Marc Chagall e Christian Rohlfs, nonché loro precursori come Edvard Munch e James Ensor, e ancora gli artisti della Secessione Berlinese (come Oskar Kokoschka, Max Liebermann e Lovis Corinth), quelli della Neue Sachlichkeit (George Grosz, Otto Dix, Georg Schrimpf, Conrad Felixmüller), i dada come Kurt Schwitters e Raoul Hausmann, gli artisti della Bauhaus (tra gli altri Johannes Itten e László Moholy-Nagy) i cubisti (colpiti anche Pablo Picasso, Georges Braque, Fernand Léger e Oleksandr Archipenko, nonché un cubista orfico come Robert Delaunay), e ancora, i futuristi (Umberto Boccioni, Carlo Carrà), i simbolisti (come Gustav Klimt e Odilon Redon), i post-impressionisti come Vincent van Gogh, Paul Cézanne e Henri Matisse, e poi artisti della Parigi degli anni Venti come Amedeo Modigliani e Moïse Kisling, fino agli autori più recenti e aggiornati, da Piet Mondrian a El Lissitzky passando per Giorgio De Chirico, Theo van Doesburg, Max Ernst, Natalia Goncharova e moltissimi altri.

Uno dei fogli dell'inventario opere sequestrate (prima parte dell'elenco delle opere confiscate dalle collezioni della città di Gelsenkirchen)
Uno dei fogli dell’inventario opere sequestrate (prima parte dell’elenco delle opere confiscate dalle collezioni della città di Gelsenkirchen)

Molte delle loro opere sono incluse nella grande mostra del 1937. Un’esposizione che comunque non si configura come la prima in assoluto: la mostra di Monaco di Baviera è infatti preceduta da diverse altre esposizioni di più ridotte dimensioni, la prima delle quali s’era tenuta presso il Municipio di Dresda nel 1933. In quell’occasione, venivano proposte al pubblico circa duecento opere, due terzi delle quali erano disegni e acquerelli, più almeno quarantadue dipinti e dieci sculture. Malgrado le dimensioni relativamente contenute, si trattava di una mostra importante, e non solo perché fu la prima di quelle dedicate alla “Entartete Kunst”, ma anche perché costituì il nucleo fondante del grande evento che avrebbe aperto i battenti il 19 luglio del 1937. Poi, nei quattro anni che intercorrono tra la mostra di Dresda e quella di Monaco di Baviera, si verificano accadimenti destinati a influire in modo ancora più pesante e massiccio sull’ambiente artistico tedesco. Verso la fine del 1936, il Ministro per l’istruzione e la propaganda, Joseph Goebbels, dà vita a due azioni decisive: nomina, come presidente della Reichskammer der Bildenden Kunst, il suddetto Ziegler, decisamente più estremista del suo predecessore Eugen Hönig, e soprattutto mette al bando la critica d’arte in modo da stringere il controllo diretto del Reich su ogni manifestazione artistica in Germania (del resto già nel 1929 Hitler aveva individuato nella stampa uno dei principali responsabili della diffusione dell’“arte degenerata”). La decisione pone, di fatto, la parola “fine” sul dibattito artistico nel paese: di lì in avanti, solo l’arte conforme alle istanze del Reich avrebbe trovato spazio nelle gallerie. Per sancire il nuovo corso e per dare ufficialmente un indirizzo, Goebbels (che, così come Hitler e Göring, aveva visitato negli anni precedenti le piccole mostre di “Entartete Kunst”) decide di organizzare un doppio evento a Monaco di Baviera: una grande mostra che raccolga l’arte considerata sana ed esemplare (Große Deutsche Kunstausstellung, “Grande mostra dell’arte tedesca”), aperta a tutti gli artisti che vogliano partecipare (la commissione giudicatrice riceverà ben quindicimila richieste di partecipazione) e una mostra che, al contrario, raduni quanto considerato deviante. Quest’ultima viene organizzata in tempi rapidissimi: il decreto con cui Goebbels investe Ziegler del ruolo di curatore è datato 30 giugno. In appena due settimane, il presidente della Reichskammer e la sua commissione setacciano i musei tedeschi e confiscano 5.328 opere, tra le quali verranno selezionate quelle da mostrare al pubblico.

Le direttive che la commissione di Ziegler segue sono piuttosto semplici. Vengono sequestrate tutte le opere tendenti all’astrazione o con figure ritenute irrealistiche. Si colpiscono poi le opere considerate lesive del comune pudore, o dell’onore della nazione. Vengono poi ritirate dai musei le opere di artisti ritenuti privi di abilità tecnica. Ancora, vengono passate in rassegna le riviste sulle quali scrivono i critici più aggiornati, in modo da ottenere facilmente liste di nomi di artisti da censurare. Viene studiato l’odioso libro di Willrich che elenca ulteriori artisti considerati degenerati, e lo stesso viene fatto con la produzione letteraria dei critici di regime. In generale, sono colpiti dai sequestri tutti gli artisti la cui sensibilità viene considerata lontana da quella del Reich. Non vengono risparmiati neppure gli artisti che hanno aderito al NSDAP, il Partito Nazista: a Emil Nolde, che era da tempo iscritto al partito, vengono confiscate più di mille opere, e gli viene proibito di dipingere, malgrado le sue proteste. Nolde, e molti altri artisti, vengono infatti raggiunti dalle lettere del presidente della Reichskammer, che comunicano la loro esclusione dall’istituto. Ecco cosa recitava quella ricevuta da Schmidt-Rottluff: "In occasione dell’eliminazione dell’arte degenerata dai musei [...], La informo che a Lei sono state confiscate 608 opere. Un certo numero di esse sono state esposte alle mostre Entartete Kunst a Monaco, Dortmund e Berlino. Per questa ragione, Lei deve comprendere che le Sue opere non sono conformi ai fini di promozione della cultura tedesca nei confronti del popolo e del Reich. Lei doveva essere consapevole del discorso pronunciato dal Reich all’apertura della Große Deutsche Kunstausstellung, e malgrado ciò ancora oggi Lei risulta lontano dal pensiero culturale dello Stato Nazionalsocialista. Sulla base di quanto sopra descritto, Lei non ha più i requisiti per far parte di questa Camera. [...] La escludo quindi dalla Reichskammer der bildenden Kunst, e Le proibisco, con effetto immediato, di dedicarsi a qualsiasi attività, sia a titolo professionale sia ad altro titolo, nel campo delle arti visive. Firmato: Adolf Ziegler".

I curatori, presi dalle confische, hanno poco tempo per preparare il materiale promozionale. Le tempistiche consentono di pensare unicamente un volantino che reclamizza l’evento in questo modo: Tele torturate - Degrado mentale - Fantasie malate - Incompetenti malati di mente - Prodotti e produttori di un’“arte” premiata dalle cricche degli ebrei ed apprezzata dai letterati, comprata dallo Stato e dalle città sperperando milioni delle risorse nazionali mentre artisti del popolo tedesco morivano di fame. Ecco: come era quello Stato, tale era la sua arte. Venite a vedere! Giudicate voi stessi! Visitate la mostra “Entartete Kunst”. Ingresso libero. Vietato ai giovani. Il catalogo ufficiale della mostra verrà pubblicato solo quattro mesi dopo, in occasione della tappa che la mostra fa a Berlino, e diventa celebre per la sua copertina, che consiste in una fotografia di un’opera di Otto Freundlich (Słupsk, 1878 – Majdanek, 1943), Großer Kopf (Der Neue Mensch), ovvero “Grande Testa (L’uomo nuovo)”, una scultura di stampo primitivista, chiaramente ispirata alle grandi statue dell’Isola di Pasqua: sull’immagine viene semplicemente apposto il titolo della mostra. Sia Freundlich che la sua scultura sono peraltro destinati a fini tragiche: la scultura scompare nel 1941, probabilmente distrutta, mentre l’artista viene deportato nel campo di concentramento di Majdanek, nei pressi di Lublino, in Polonia, e viene assassinato proprio nel giorno dell’arrivo.

Il volantino pubblicato per promuovere la mostra e il catalogo della mostra di Berlino
Il volantino pubblicato per promuovere la mostra e il catalogo della mostra di Berlino

La mostra si apre quindi il 19 luglio: a tenere l’agghiacciante discorso inaugurale è lo stesso Ziegler. Riportiamo di seguito un passo del suo intervento: “Abbiamo ancora un tragico dovere da compiere: dobbiamo mostrare al popolo tedesco che, fino a poco tempo fa, certe forze, che nell’arte non vedevano una naturale o chiara espressione vitale, esercitavano un’influenza sostanziale sulla produzione artistica. Erano forze che rinunciavano deliberatamente a un’arte sana per promuoverne una che era invece malata e degenerata, celebrandola peraltro come la più grande rivelazione. Ma dalle parole pronunciate ieri dal Führer possiamo con entusiasmo renderci conto che per queste forme d’arte è finalmente giunta la fine. [...] Oggi ci troviamo nel mezzo di una mostra che non rappresenta altro che una frazione di quanto i musei, con i soldi del popolo tedesco, hanno comperato come arte e hanno esposto ed esibito come arte. Tutto intorno a voi potete vedere i prodotti di queste pazze canaglie, i sottoprodotti alterati dell’impudenza, dell’inettitudine, della degenerazione. E quello che la presente mostra ha da offrire ci provoca lo stesso disgusto, il più assoluto sconcerto. Molti dei curatori dei nostri musei non hanno neppure un briciolo di senso della responsabilità nei confronti del popolo e della nazione, cosa che invece rappresenta il prerequisito fondamentale per poter curare una mostra d’arte”. All’inaugurazione della Große Deutsche Kunstausstellung, che aveva aperto il giorno prima, era presente anche lo stesso Führer, che aveva tenuto il discorso inaugurale: tuttavia, molti di quanti erano lì avrebbero poi scritto che, quel giorno, Adolf Hitler era molto nervoso. Sembrava che, in certa misura, lui, Goebbels e gli altri convenuti avvertissero lo scarto di qualità tra le opere per la più parte mediocri e insulse che popolavano la mostra dell’arte ariana, e le opere della più aggiornata avanguardia che erano state riunite per la mostra dell’arte degenerata. E Hitler aveva ben ragione d’essere preoccupato, perché il pubblico si sarebbe dimostrato molto più desideroso di visitare la mostra della Entartete Kunst: alla chiusura, stabilita per il 30 novembre, l’esposizione avrebbe fatto registrare ben 2.009.899 visitatori, più del triplo di quelli della “grande mostra dell’arte tedesca”. Rimane ancora oggi una delle mostre d’arte più frequentate della storia: per alcuni si tratta addirittura della mostra d’arte contemporanea più visitata di sempre.

Il pubblico in coda per entrare alla mostra Entartete Kunst di Monaco di Baviera
Il pubblico in coda per entrare alla mostra Entartete Kunst di Monaco di Baviera


Joseph Goebbels visita la mostra Entartete Kunst
Joseph Goebbels visita la mostra Entartete Kunst


Adolf Hitler (secondo da sinitra) supervisiona la mostra di Monaco di Baviera con Adolf Ziegler (primo da sinistra)
Adolf Hitler (secondo da sinitra) supervisiona la mostra di Monaco di Baviera con Adolf Ziegler (primo da sinistra)

Diverse le cause del successo. L’ingresso gratuito certo ha facilitato un’alta partecipazione, ma non è che uno degli ingredienti di un riscontro tale da indurre gli organizzatori a pensare a ulteriori tappe, al fine di portare le opere degli “artisti degenerati” a Berlino, Lipsia, Düsseldorf, Vienna, Salisburgo e altre città del Reich, in un tour destinato a durare quattro anni. I visitatori, intanto, percepiscono come trite, noiose e monotone le opere dell’“arte ufficiale”, mentre più stimoli provengono dai “degenerati”. Ancora, il pubblico evidentemente immagina che la mostra di Monaco di Baviera rappresenti l’ultima occasione per vedere dal vivo e da vicino le opere degli artisti moderni: molte di queste, infatti, verranno distrutte, e di altre si perderà traccia. Oppure, i visitatori desiderano vedere fino a che punto il regime s’è spinto a insultare gli “artisti degenerati”, come il volantino lasciava supporre.

Nelle sale della mostra, infatti, i dipinti sono sempre accompagnati da commenti e slogan infamanti. Le opere sono molte: però, dal momento che dell’edizione di Monaco di Baviera manca il catalogo ufficiale, che come accennato sopra uscirà solo in occasione della tappa di Berlino, non si può far altro che avanzare delle stime sui numeri, e gli studiosi indicano tra le 650 e le 750 le opere che si alternano negli ambienti dell’Istituto di Archeologia dell’Hofgarten. Sappiamo, dal catalogo berlinese, che le opere sono suddivise in gruppi tematici, ognuno presentato da un apposito titolo. Tuttavia la suddivisione dei gruppi tra le sale, nella mostra di Monaco, non segue in modo pedissequo i raggruppamenti noti dal catalogo, ma citarli dà comunque un’idea di quali fossero le caratteristiche che i nazisti attribuivano all’“arte degenerata”. Primo gruppo, degenerazione... tecnica: “Zersetzung des Form und Farbempfindens” (“Disintegrazione della percezione della forma e del colore”). Secondo gruppo, opere a tema religioso: “Unverschämter Hohn auf jede religiöse Vorstellung” (“Insolenti offese a ogni idea religiosa”). Terzo e quarto gruppo, opere a tema politico: “Der politische Hintergrund der Kunstentartung” (“Il contesto politico della degenerazione dell’arte”) e “Politische Tendenz” (“Tendenze politiche”). Quinto gruppo, opere ritenute offensive nei confronti della morale: “Einblick in die moralische Seite der Kunstentartung: Bordell, Dirnen, Zuhälter” (“Sguardo sugli aspetti morali della degenerazione artistica: bordelli, prostitute, protettori”). Sesto gruppo, opere considerate lesive della dignità della razza ariana: “Abtötung der letzten Reste jedes Rassebewußtseins” (“Distruzione degli ultimi resti di ogni consapevolezza razziale”). Settimo gruppo, opere lontane dai canoni estetici ritenuti sani e conformi ai principî del Reich: “Idioten, Kretins, Paralytiker” (“Idioti, cretini, paralitici”). Ottavo gruppo, opere prodotte da artisti ebrei, intitolato semplicemente “Juden” (“Giudei”). Nono e ultimo gruppo, opere di artisti considerati pazzi: “Vollendeter Wahnsinn” (“Pazzia assoluta”).

Oggi conosciamo molte delle opere esposte alla mostra, che si apre con un grande crocifisso, tendente all’astrazione, di Ludwig Gies, accompagnato dal commento “Dieses Schauerwerk hing als Heldenehrenmal in Dom zu Lübeck” (“Questa orrenda opera è appesa come omaggio ai caduti nella Cattedrale di Lubecca”). La scultura (in seguito distrutta) introduce la sala delle opere a tema religioso, dove figurano dipinti come il Paradiso perduto di Emil Nolde (oggi alla Nolde Stiftung Seebüll) o il Cristo e l’adultera di Max Beckmann (oggi conservato al City Art Museum di Saint Louis). Ma sono molte le opere di grande pregio che trovano spazio nelle sale della mostra. Dipinti come le Tre ragazze di Otto Müller (anch’esso oggi a Saint Louis), il cosiddetto Purim di Marc Chagall (oggi al Philadelphia Museum of Art), e ancora le Dame al caffè di Ernst Ludwig Kirchner (oggi al Brücke-Museum di Berlino), la veduta di Monte-Carlo di Oskar Kokoschka (oggi al Musée d’Art Moderne di Liegi), l’Ecce Homo di Lovis Corinth oggi al Kunstmuseum di Basilea e i Due gatti, blu e giallo di Franz Marc (nello stesso museo). Particolarmente famosa è la parete che ospita le opere afferenti al movimento dada: in una fotografia, sotto all’ironico slogan “Nehmen Sie Dada ernst! / Es lohnt sich” (“Prendete sul serio il Dada! / Ne vale la pena”), si distinguono chiaramente una Ringbild di Kurt Schwitters (della quale non conosciamo la sorte) e la Leggenda della palude di Paul Klee, che oggi è conservata alla Städtischen Galerie im Lenbachhaus di Monaco di Baviera. In un’altra fotografia nota vediamo una parete su cui campeggia lo slogan “Sie sagen es selbst” (“Lo dite voi stessi”, rivolto al pubblico) e dove sono appese opere come le Maschere di Emil Nolde (oggi in collezione privata), o i Due rossi di Vassilij Kandinskij e l’autoritratto di Conrad Felixmüller, entrambi dipinti dei quali ignoriamo la fine.

Il crocifisso di Ludwig Gies in mostra
Il crocifisso di Ludwig Gies in mostra


Emil Nolde, Paradiso perduto
Emil Nolde, Paradiso perduto (1921; olio su tela, 106,5 x 157 cm; Seebüll, Nolde Stiftung Seebüll)


Max Beckmann, Cristo e l'adultera
Max Beckmann, Cristo e l’adultera (1917; olio su tela, 149,2 x 126,7 cm; Saint Louis, Saint Louis Museum of Art)


Otto Müller, Tre ragazze
Otto Müller, Tre ragazze (1920 circa; olio su tela, 121,9 x 134,8 cm; Saint Louis, Saint Louis Museum of Art)


Marc Chagall, Purim
Marc Chagall, Purim (1916-197; olio su tela, 50,5 x 71,9 cm; Filadelfia, Philadelphia Museum of Art)


Oskar Kokoschka, Monte-Carlo
Oskar Kokoschka, Monte-Carlo (1925; olio su tela, 73 x 100 cm; Liegi, Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain)


Franz Marc, Due Gatti, blu e giallo
Franz Marc, Due Gatti, blu e giallo (1912; olio su tela, 74 × 98 cm; Basilea, Kunstmuseum)


La parete con le opere Dada
La parete con le opere Dada


La parete con lo slogan Sie sagen es selbst
La parete con lo slogan “Sie sagen es selbst”. Le prime tre opere in alto a sinistra sono le tre di Kandinskij, Nolde e Felixmüller citate nell’articolo.

Alla data del 1941, saranno più di sedicimila le opere confiscate dai nazisti. Molte di loro verranno distrutte, mentre altre, come alcune di quelle sopra elencate, riusciranno fortunatamente a salvarsi. Leggendo la lista delle opere esposte alla mostra di Monaco di Baviera, ci si accorgerà dell’assenza pressoché totale di opere di artisti stranieri (come van Gogh, Braque, Picasso e altri), che pure erano state sequestrate durante i rastrellamenti di gallerie e musei. Molte di loro, infatti, verranno vendute all’estero, spesso su iniziativa degli stessi gerarchi: Hermann Göring, che grazie a confische e saccheggi nei paesi occupati era riuscito a crearsi una cospicua collezione, nel 1938 aveva preso sotto la sua custodia un buon numero di dipinti di artisti post-impressionisti, e li aveva personalmente ceduti o barattati per altre opere. Le misure dei nazisti, tuttavia, non sarebbero riuscite a fermare del tutto le avanguardie. Molti artisti troveranno altri modi d’esprimersi: i più si sposteranno all’estero e proseguiranno la loro attività in Francia, in Olanda, negli Stati Uniti, continuando il loro lavoro laddove i sequestri e le distruzioni l’avevano interrotto. E oggi è possibile affermare con sicurezza che, malgrado la buia parentesi, l’arte si è dimostrata decisamente più forte della violenta barbarie.

Bibliografia di riferimento

  • Lisa Pine, Life and Times in Nazi Germany, Bloomsbury Publishing, 2016
  • Wolfgang Ruppert, Künstler im Nationalsozialismus: Die “deutsche” Kunst, die Kunstpolitik und die Berliner Kunsthochschule, Böhlau Köln, 2015
  • Anson Rabinbach, Sander L. Gilman, Lilian M. Freidberg, The Third Reich Sourcebook, University of California Press, 2013
  • Eric Michaud, The Cult of Art in Nazi Germany, Stanford University Press, 2004
  • Peter Klaus Schuster, Nationalsozialismus und ’Entartete Kunst’, Prestel, 1998
  • Jonathan Petropoulos, Art as Politics in the Third Reich, The University of North Carolina Press, 1996
  • Neil Levi, “Judge for Yourselves!”. The “Degenerate Art” Exhibition as Political Spectacle in October, vol. 85, The MIT Press (1998), pp. 41-64
  • Georg Bussmann, Kunst im 3. Reich - Dokumente der Unterwerfung, Frankfurter Kunstverein, 1975


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo



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